Si apre una nuova stagione diplomatica fra Germania e Turchia. Dopo mesi di insulti, provocazioni e manifeste ostilità portate avanti da Erdogan contro il governo tedesco, si è finalmente arrivati al punto di rottura: la pazienza di Angela Merkel sembra davvero finita.
Berlino ha pubblicato in luglio una nota ufficiale nella quale richiede a tutti i cittadini in procinto di mettersi in viaggio verso la Turchia la massima attenzione, a causa di un “aumentato pericolo” in merito a possibili arresti da parte delle autorità locali. Inoltre, nel corso di una conferenza stampa convocata dal ministro degli esteri e vicecancelliere Sigmar Gabriel lo scorso 20 luglio, è stata anticipata la possibilità di rivedere i rapporti di cooperazione economica fra i due Paesi, annunciando un “riorientamento” della propria policy diplomatica nei confronti della Turchia.
“Le relazioni fra Germania e Turchia non possono andare avanti come prima. Ankara ha abbandonato il terreno dei valori europei e continua a incarcerare turisti innocenti che vanno a visitare il paese, accusandoli di crimini assurdi e oltraggiosi”. A scatenare la reazione dell’ex segretario SPD è stato l’arresto a Istanbul, lo scorso 5 luglio, dell’attivista Peter Steudtner, imputato di supportare un’organizzazione terroristica: Steudtner stava partecipando ad un workshop di Amnesty International. Con il suo fermo sale a nove il numero di cittadini tedeschi oggi in stato di arresto in Turchia. Fra loro, anche il giornalista Deniz Yücel, cittadino turco-tedesco, corrispondente della testata Die Welt, autore di numerosi articoli molto critici con Erdogan e il suo entourage, accusato di spionaggio e in cella di isolamento dal 14 febbraio 2017.
Il ministro degli esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha definito le osservazioni di Gabriel “non degne di un paese serio”. Inoltre, ha accusato la Germania di “dare rifugio ai terroristi” del PKK curdo e ai sostenitori di Fethullah Gulen, considerato dal governo di Ankara la mente del fallito tentativo di golpe di dodici mesi fa.
Quest’escalation di tensione è soltanto l’ultimo atto di uno scontro che da mesi ha portato a un lacerante deterioramento delle relazioni fra due Stati legati da profondi rapporti da economici e demografici.
Sono dello scorso anno le proteste e la richiesta di Erdogan di processare l’entertainer tedesco Jan Böhmermann, che sulla rete pubblica ZDF Neo lo aveva insultato all’interno del suo programma satirico. Allora, sotto l’enorme pressione diplomatica di Ankara, si ebbero le scuse ufficiali di Angela Merkel a Erdogan e un procedimento, poi terminato in un nulla di fatto, a Böhmermann.
Di qualche mese fa sono invece le accuse di Erdogan alla Germania di “pratiche naziste”, dopo che le autorità tedesche avevano deciso di vietare la campagna elettorale del Sultano tra gli elettori turchi che vivono in Germania, per sostenere un referendum che ha poi esteso i poteri del presidente turco.
Ancora, nel mese di giugno, il governo turco ha vietato a una delegazione parlamentare in arrivo da Berlino di visitare le truppe dell’esercito tedesco impegnate in una missione anti-Isis e di stanza nella base militare turca di Incirlik. La Germania ha così deciso di ritirare il contingente.
A lungo l’opinione pubblica in Germania si è chiesta quale fosse il limite di sopportazione di Angela Merkel alle continue bordate provenienti dalla Turchia.
La sensazione è che Erdogan abbia voluto testare il punto di rottura del governo tedesco, facendo leva sul rapporto di forza sviluppato nei confronti della Cancelliera, dopo l’accordo raggiunto fra Unione Europea e Turchia per la gestione del flusso di migranti diretti verso l’Europa attraverso il territorio turco. Grazie a quella risoluzione la Merkel ha potuto negli ultimi dodici mesi tenere a bada l’ondata anti-immigrazione montante sul fronte interno, un elemento cruciale, soprattutto a pochi mesi dalla tornata elettorale del prossimo settembre, nella quale Angie punta a conquistare per la quarta volta consecutiva la presidenza, ma anche un vicolo cieco imboccato da Germania ed Europa. Per il suo lavoro di “contenimento”, la Turchia riceverà 6 miliardi di Euro dalla UE, entro la fine di quest’anno, in aggiunta ai 3 che ha già ricevuto.
È probabilmente per le stesse ragioni che l’hanno portata a chiudere l’accordo sui migranti che oggi la Germania ha deciso di reagire agli attacchi di Erdogan. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali del 24 settembre può costituire un fattore fondamentale tornare a fare la voce grossa contro le provocazioni turche, soprattutto per rassicurare un’opinione pubblica che non ha mai digerito la passività diplomatica con la quale la Merkel ha accettato la reazione al fallito colpo di stato di luglio 2016. Una reazione rispetto alla quale vale la pena dare un breve quadro analitico:
– 15 università chiuse su decreto governativo di Erdogan;
– più di 130 giornalisti turchi arrestati;
– 178 testate chiuse o poste sotto il controllo diretto del governo;
– 5,000 accademici di 112 università licenziati durante lo stato d’emergenza;
– 45,000 persone detenute in attesa di processo. “Dei 47,155 detenuti in attesa di processo, 10,732 sono ufficiali di polizia, 7,631 ufficiali militari, 2,575 giudici e pubblici ministeri, 26,177 civili e 208 funzionari amministrativi”, ha dichiarato in marzo il ministro degli interni Süleyman Soylu;
– più di 110,000 persone sono state arrestate in seguito alle investigazioni per il tentativo di colpo di stato di luglio 2016, secondo quanto dichiarato dal ministro Soylu lo scorso 3 aprile;
– più di 125,000 funzionari pubblici sono stati sospesi o licenziati.
Se l’Unione Europea, e soprattutto la Germania, ha deciso di accettare in silenzio tutto questo, è perché grazie alla chiusura della rotta balcanica sono almeno 1 milione e mezzo i rifugiati tenuti fuori dai cancelli del nostro continente, uomini e donne che per grandissima parte rimangono in un drammatico limbo umano ed istituzionale, senza un effettivo riconoscimento diplomatico della loro condizione di profughi.
Ci sono però anche degli altri numeri che ci permettono di capire ancora meglio quanto profonde siano le relazioni fra Germania e Turchia e in che misura potrebbe diventare molto pesante un ridimensionamento dei rapporti fra i due paesi.
Innanzitutto, la parte economica. Sono 7,000 le compagnie tedesche che ad oggi fanno affari con la Turchia, per un giro d’affari da 36 miliardi di euro ogni anno. Gabriel, nel suo discorso del 20 luglio, ha annunciato la possibilità di bloccare le misure di sostegno alle imprese che decidono di investire in Turchia, date le condizioni di incertezza amministrativa e politica che contraddistinguono al momento lo stato turco. Un eventuale disimpegno tedesco taglierebbe le gambe a un paese che è sull’orlo del tracollo finanziario, con un Prodotto Interno Lordo in forte contrazione (- 2% secondo il Fondo Monetario Internazionale), un calo dei consumi del 3,2%, un crollo dell’export del 7%, un deficit di partite correnti del 5% del PIL e un debito estero di 426 miliardi di dollari.
Un dato di natura economica è anche quello legato al turismo. I tedeschi sono da sempre il gruppo di visitatori più nutrito della Turchia, ma i viaggi Berlino – Ankara sono crollati del 25% nel corso degli ultimi 12 mesi e i recenti sviluppi diplomatici fra i due paesi non lasciano pensare a un incremento. Si tratta di una dura batosta per un paese che ha perso, complessivamente, 10 milioni di turisti nel 2016 (il 33% delle entrate complessive della bilancia commerciale turca) e per il quale il comparto, sino al 2013, garantiva 11 punti di PIL e il 9% dei posti di lavoro su base nazionale.
C’è poi un altro elemento, probabilmente il più importante. In Germania vivono quasi 4 milioni di “turchi etnici”, alcuni dei quali in possesso del doppio passaporto. Di questi, 1 milione e 300.000 possono votare in Turchia, oltre che in Germania.
Sono numeri che possono spostare gli equilibri di una votazione, in entrambi i paesi.
Si può dunque considerare credibile l’idea che la Germania punti ad un cambio di rotta deciso nelle sue relazioni diplomatiche con la Turchia? L’eventualità più probabile è che il governo tedesco giochi a fare la voce grossa contro Erdogan da qui all’elezione di settembre, così da non scontentare quella buona parte di elettorato che da mesi aspetta una reazione alle provocazioni turche. Appare invece molto meno percorribile l’ipotesi di effettive misure che vadano a colpire economicamente la Turchia: troppo grande il rischio di mettere in discussione l’accordo sui migranti e di inimicarsi gli elettori di origine turca del paese. La Merkel non può permettersi di rimanere impantanata in un empasse che riaprirebbe all’arrivo di profughi e metterebbe in discussione tutta la sua politica migratoria degli ultimi tre anni, prestando il fianco da un lato ai populisti di Alternative für Deutschland, che hanno costruito il loro successo proprio a partire dal sentimento anti-immigrazione montante in Germania, dall’altro all’SPD, che potrebbe approfittare di un passo indietro della Cancelliera per riprendersi quel ruolo di partito progressista e aperto che Schulz sta cercando disperatamente di ricomporre.
Un altro discorso è quello che bisognerà intraprendere subito dopo le elezioni. Da più parti è infatti ormai evidente come sia necessario ripensare in maniera integrale ai rapporti fra Unione Europea e Turchia. I criteri di Copenaghen, sul cui rispetto si basa l’accesso alla UE di qualsiasi paese aspirante, sono stati ripetutamente calpestati dal governo di Erdogan. L’attuale stato della democrazia in Turchia rende completamente irrealistica un’adesione del paese all’Unione Europea.
A partire da questo, sarà fondamentale, con la Germania in cabina di regia, guardare la realtà negli occhi, abbandonare ogni negoziazione per l’accesso della Turchia in Europa e rimettere in piedi una relazione che dovrà fondare la sua stabilità su una maggiore cooperazione economica, politica e in termini di sicurezza, stimolando la società civile e un ritorno alla piena democrazia.
Perché una cosa è certa: la Turchia è un alleato geo-strategico che il blocco occidentale non può permettersi di perdere.
REDAZIONE
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