Negli ultimi anni si è parlato tanto di hip hop. Se n’è parlato bene e male, come ogni cosa che ha un certo successo e diventa virale. Ora, dire di una cosa come l’hip hop italiano che è diventato virale, diventa anche abbastanza strano, ma tant’è. Perché oggi ogni cosa che viene toccata dall’hip hop diventa virale, che sia un video, una canzone, un libro, un personaggio, una t shirt.
Merito e colpa della ‘nuova scena’, che ha tolto e dato sotto tutti gli aspetti.
L’avvento delle sonorità trap, dell’autotune, di metriche in qualche modo nuove, sicuramente diverse, dell’hip hop accostato ai social e al fashion blogging. Di Fabri Fibra. Della Dark Polo Gang.
Davide De Luca, romano classe ’88, in arte Gemitaiz, è tra le stelle di questa ‘nuova scena’. Giusto per fare qualche numero social, per l’appunto, accostiamo i suoi 680mila follower Facebook agli 892mila di Salmo e ai 73mila dei Colle Der Fomento, senza dimenticare i 123mila della Dark Polo Gang e i quasi 6mila di Fabri Fibra.
Sono scelte e dati volontariamente selezionati, perché questi nomi, in qualche modo, torneranno all’interno della chiacchierata telefonica con Gemitaiz, e hanno una certa importanza.
Domenica il ragazzo calcherà il palco del Privat Club a Berlino. È la sua prima volta e anche un grande esame, perché qualche mese fa Salmo, proprio nella capitale di Germania, ha fatto sold out.
Gli chiedo che cosa ha in ballo in questi mesi e mi risponde che si sta dedicando quasi interamente al disco nuovo, che uscirà nel nuovo anno.
“Sono spesso in studio. Siamo in fase di produzione, non sappiamo ancora nemmeno il mese di uscita, ma sicuramente entro la primavera.”
C’è una cosa che mi sono chiesto mentre pensavo a quest’intervista, probabilmente dovuta in parte alla curiosità di capire una scena che mi è ancora un po’ estranea e in parte al fatto che mi sto sentendo vecchio rispetto a te e a quello che stai facendo. Forse, semplicemente, a quello che sta succedendo all’hip hop negli ultimi anni. Chi eri prima di diventare Gemitaiz?
“Guarda, io ho iniziato a scrivere le prime cose che ancora non avevo nemmeno quattordici anni. Da quel momento in poi è stato un crescere veloce sia a livello di passione che, fortunatamente, a livello lavorativo. Ovviamente c’è voluto un po’ di tempo. Quando ho iniziato io la scena hip hop non era com’è adesso. Ti dovevi fare le ossa prima di arrivare in un certo circuito. Quindi ho lavorato tanto. Ho fatto tanti download, una dozzina di mixtape, un paio di dischi non ufficiali. Una sacco di roba, non mi sono mai fermato, anche quando non era un lavoro vero e proprio.”
Ma che tipo di ragazzino eri quando avevi quattordici anni e ti approcciavi all’hip hop?
“Ero un classico ragazzino alternativo che non gli piaceva niente. Mi sentivo a disagio nelle situazioni che invece andavano a genio ai miei amichetti. Insomma, volevo sentire la musica. Non avevo interessi particolari, come per tanti c’è stato il calcio o il basket. Io sono sempre stato attratto dalle cose più empatiche. I miei veri amici sono stati quelli più introspettivi, non mi piaceva il verso che prendeva la massa. Quindi mentre i miei amici andavano a ballare il pomeriggio io mi sentivo Tupac a casa.”
C’è stato anche qualcuno di italiano nell’hip hop che hai ascoltato a quei tempi che ti ha ispirato?
“Certo, dopo aver ascoltato un po’ di roba americana, ho scoperto che esisteva anche in Italia e allora mi sono interessato. I gruppi che ho ascoltato di più e dai quali ho tratto più ispirazione sono stati Bassi Maestro, Cor Veleno, Club Dogo, Colle Der Fomento per un certo periodo. Poi a livello di tecnica e metriche mi sono sempre basato sul rap americano, perché mi piaceva di più, in quanto la lingua inglese si presta molto meglio della nostra.”
Quindi per te è stato molto di più fonte d’ispirazione l’hip hop americano rispetto a quello italiano.
“Diciamo che il rap italiano mi ha dato più un’ispirazione a livello umano. A livello di tecnica e musicalità, invece, ero più attratto da quello americano. Ascoltavo anche un po’ di rap tedesco, perché il mio migliore amico era madrelingua.”
Ok, ricordo che lessi una tua intervista più o meno recente, in cui mi colpì molto una cosa che dicesti: ‘Io voglio alzare il livello della competizione, cercando la qualità. Lontano da stereotipi e compromessi’. Ho pensato che ok i compromessi, però un pochetto di stereotipi l’hip hop ce li ha. Quindi, ti chiedo cosa significhi oggi, per chi lo fa, allontanarsi dallo stereotipo.
“Credo che debba essere una cosa che ti viene spontanea. Per quanto ti possa piacere qualcosa non potrà mai andare bene per sempre, figurati la musica che cambia di giorno in giorno. Fare musica è un lavoro. Come un programmatore di videogame deve fare un videogioco più figo degli altri, tu devi fare un disco più figo di tutti gli altri. È una sana competizione. Quindi, per farti capire, se io sono un fan di Travis Scott, non posso comunque permettermi di fare un disco con quattordici canzoni che suonano tutte come Travis Scott. Perché mi rompo le palle e si rompe le palle chi se lo sento. L’importante per me è cercare sempre di mettere un’impronta mia e di farmi riconoscere. Io voglio che quando esce il mio disco la gente dica: hai sentito che cazzo hanno fatto?
La gente deve arrivare a conoscere le nuove tipologie. Adesso c’è la Trap, un fenomeno rivoluzionario che a me piace molto, ci sono un sacco di cose che mi sento. Farò un paio di pezzi con quel tipo di sonorità nel disco, uno forse sarà anche un singolo, però non ci sarà solo quello. Sto cercando di fare un meltin’pot di tutte le cose che ascolto. Allontanarsi dallo stereotipo significa non seguire necessariamente la corrente che ti è favorevole. Con questo non sto dicendo che bisogna andare controcorrente e fare il rap come nel ’95. È più crearne una nuova di corrente, non dare tutto per scontato quello che c’è adesso. Modellare.”
Quindi oggi qual è la corrente favorevole?
“Beh oggi la corrente favorevole è quella della Trap, con gli autotune, i 60 bpm e via dicendo. Ci sono dei pezzi fighissimi, sono stato colpito da un sacco di tracce, anche se pochi italiani, devo dire la verità. Inizialmente ero un po’ contro. Mi chiedevo come facesse la gente a dire che roba come Future, per esempio, spaccasse. Non lo capivo. Poi, invece, con il tempo, mi sono messo ad ascoltarlo meglio ed ora è uno di quelli che mi piacciono di più. È fortissimo sia a scrivere che a fare i pezzi su quel tipo di genere. Lo riconosci dopo cinque secondi che è lui.
Mi verrebbe da chiudere questo discorso domandandoti dove ti collochi tu nella scena, ma forse mi hai già risposto fra le righe. Non ti collochi.
Preferisco essere nomade. Mi piace far parte di tutto e di niente, cerco da sempre di fare delle cose che siano molto personali.
Io credo che l’hip hop sia probabilmente l’unico genere musicale in grado di cambiare pelle in modo pressoché totale, andando spesso ad uccidere il suo predecessore, ma restando sempre coerente con se stesso. Ti voglio chiedere, soprattutto dopo che mi hai detto che preferisci essere nomade musicalmente, che fine ha fatto la vecchia scuola? Dove sono oggi quei suoni, quelle metriche?
“Nella maggior parte della scena che c’era quando io ero piccolo c’è chi ancora fa cose, c’è chi ha smesso, chi ha rosicato, chi non ha mai avuto talento, non farò nomi, e quindi si è trovata davanti alla selezione naturale. Quello che ti posso dire è che esistono delle cose che confermano determinati tipi di persone e determinate storie. Prendiamo Bassi Maestro, lui ancora fa i dischi, ancora fa i beat, ancora si stampa i 45 giri da solo, fa le dirette Facebook mentre se li suona, voglio dire, per me lui è la persona più hip hop che conosco. Perché da quando avevo tredici anni e mi ascoltavo i suoi dischi, fino a quando l’ho conosciuto e ci ho lavorato, ,mi sono accorto che lui è l’unico che non ha mai mollato questa roba, ma nemmeno un giorno. È sempre stato da qualche parte a fare hip hop, nonostante sia padre di due ragazzine, non è uno che sta chiuso nello studio tutto il giorno. Il punto di questa cosa è che, anche con tutte le possibilità che ci sono, con tutte le avversità, se ti piace e se hai la passione, la musica la continui a fare, anche se hai cinquanta anni e la fai a modo tuo.
C’è stato e c’è chi lo fa perché deve farlo e chi perché gli piace, semplicemente.
Io mi sento in dovere di fare questa cosa tutti i giorni, perché senza non mi sentirei a posto con me stesso, mi sentirei inutile nel mondo.
Cosa diresti ad un quarantenne che nella sua vita ha sempre ascoltato un certo tipo di hip hop e ora si ritrova un’altra cosa, molto differente dalla roba dei primi duemila e anche prima? Come risponderesti se questo ti dicesse che quello che fai tu non è più hip hop, ma un’altra cosa?
“Gli direi sicuramente di non partire prevenuto e di aprire la sua mente. Purtroppo succede spesso che chi è più vecchio, permettimi il termine, tende a non volere accettare il cambiamento. Per esempio, non puoi dirmi che della roba nuova che esce fa tutto schifo. È il classico esempio del fanatico che c’è rimasto sotto. È come quelli che rimangono sotto dalle droghe, è la stessa cosa. C’è chi c’è rimasto sotto con la ragazza. E c’è chi ci rimane sotto con la musica.
È gente che ti viene a dire ‘perché prima era meglio.’ E allora fallo.
Se vuoi incidere un disco che suona come nel ’95 lo puoi fare, nessuno ti dice niente. Prendi Action Bronson, che problema c’è. Puoi fare quello che ti pare, ma non devi partire prevenuto, non puoi rovinarti l’ascolto ancora prima che esca.
Mi ricordo che quando avevo quindici anni uscì 50 Cent ed io mi ascoltavo i Non Phixion, renditi conto. E io ricordo che dicevo ai miei amici che quella roba faceva schifo, che 50 Cent non era nessuno e quello non era rap. Dopo un anno mi sono reso conto di quanto era forte lui in realtà.
Ancora oggi, quando parlo di 50 Cent, dico che è sicuramente nella top ten dei rapper più forti di sempre, che la gente lo voglia ammettere oppure no.
Come ha iniziato a cantare lui i ritornelli della G-Unit è qualcosa d’incredibile. Quella roba non l’aveva mai fatta nessuno, non so se mi spiego. 50 Cent è un fenomeno che io etichettavo come merda. Perché? Perché mi ascoltavo i Non Phixion e nella mia testa il rap doveva essere ‘Black Helicopters‘ e nient’altro. Invece poteva essere quello e anche qualcos’altro di completamente diverso. È questa la bellezza dell’hip hop.
C’è una barra di Luché in un mio pezzo che dice: ‘Se foste davvero di strada e non foste d’appartamento sapreste che i soldi sono il primo comandamento.’ Questo cosa significa che se sei nata senza una lira, con le pezze al culo, sapresti che fare i soldi con il rap significa spenderli e fare a vedere a tutti che ce li hai, perché è giusto. È il rovescio della medaglia, hai mollato tutto per fare questa cosa e se svolti e ci diventi ricco, sai di essere il numero uno. Io la vedo così. Per me l’hip hop è ancora il negro del Queens che non c’ha manco la licenza media e però va al ristorante al fianco di Bill Gates con la catena d’oro e non gliene frega niente, può fare quello che gli pare, perché è arrivato lì facendo le rime nel quartiere.”
Assolutamente, è la parte romantica del rap. Però oggi c’è gente, e anch’io non farò nomi, che i soldi ce li ha e ce ne ha tanti, ed è già partito con tanti soldi ancora prima di iniziare a fare hip hop.
“Purtroppo gli speculatori ci sono sempre stati e gli avvoltoi ci saranno sempre. Ovviamente c’è una grande differenza tra quelli che lo fanno veramente e chi non lo fa. Voglio dire, ti puoi prendere in giro quanto ti pare. Non c’è bisogno di fare nomi perché so di chi stai parlando.
Puoi fare quello che vuoi, l’ho già detto, puoi fare anche la musica del diavolo, a me non interessa niente, però penso che è anche triste cercare di autoconvincersi di determinate cose. Se giochi a pallone non è che fai canestro, mettiamola così.”
E quindi, in ultimo, per chiudere credo nel modo giusto, ti chiedo qual è l’importanza del social network nell’hip hop di oggi. Io credo ne abbia tanta.
“Tantissima. Adesso tutto è instagram. Su instagram si capisce il potenziale di un artista, come quello di un modello, di una modella, di un cantante, di uno sportivo. Lo capisci con quello. Dobbiamo farci il callo.”
C’è qualcuno che vi ha definito dei fashion blogger oltre che gente che fa dell’hip hop.
“Beh, qualcuno lo fa. Non c’è dubbio. Se poi con fashion blogger intendono che andiamo in giro con quattromila euro di roba addosso, io la chiamo invidia. Perché io non ho bisogno di ostentare niente, però se mi piacciono i vestiti o mi piacciono le scarpe non c’è nessun male se le faccio vedere. Mi piace pure mangiare, però non è che la gente mi dice che vado troppo al ristorante. È una questione soltanto di estetica.”
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