Il mondo del lavoro tedesco non esiste più. Di mondi ne esistono almeno due. Da una parte c’è chi può ancora contare sui diritti dell’economia sociale di mercato, dall’altra c’è chi questi diritti non li ha mai visti e, soprattutto, non li vedrà mai.
Gli autisti di Francoforte e i piloti della Lufthansa protestano e scioperano: dopo settimane di trattative, ottengono aumenti e migliori condizioni di lavoro.
I lavoratori dei nove centri Amazon tedeschi protestano e scioperano dall’aprile 2013: non se ne accorge quasi nessuno. La rete logistica della multinazionale americana riesce a evitare qualunque disservizio, ad esempio appoggiandosi agli stabilimenti Amazon in Polonia. E senza disservizio (o rallentamento della produzione), non c’è sciopero che tenga. Di lavoratori tedeschi garantiti e non garantiti parla il libro “Streikrepublik Deutschland?”, scritto da quattro sociologi dell’Università di Jena. Proprio tramite la lente degli scioperi, i ricercatori hanno rilevato l’esistenza di due mondi sempre più distanti tra loro.
Si sa, quella dei garantiti e non garantiti è una realtà di cui si parla da decenni, soprattutto in Italia.
Se prima, però, si trattava di stare dentro o fuori a un sistema centrale di garanzie, oggi le cose sono diverse. I garantiti sono gli ultimi mohicani di una riserva destinata allo svuotamento entro il prossimo ventennio. I non garantiti, invece, vivono in territori totalmente altri.
Per anni, i diritti dei lavoratori tedeschi sono stati un fatto istituzionale. Il moloch statale ha sempre imposto il divieto di qualunque concreta conflittualità politica nel mondo del lavoro. Al tempo stesso, però, lo stato ha anche assicurato una certa qualità della vita e, per le imprese più grandi, la partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale.
Se, da una parte, in Germania lo sciopero politico è da sempre illegale, dall’altra, la Mitbestimmung (cogestione) è stata per anni uno degli emblemi della strategia statale di decompressione della conflittualità. Anche a causa della concorrenza ideologica con il nemico socialista della DDR, la Germania occidentale aveva fatto della Mitbestimmung il fiore all’occhiello dell’economia sociale di mercato, arrivando a creare uno dei modelli di democrazia più avanzati al mondo.
Certo, già in passato, soprattutto durante il boom economico, in Germania esistevano schiere di lavoratori non garantiti, spesso segnati dalla diversità etnica, come i Gastarbeiter italiani, spagnoli, turchi. Ma questi stessi lavoratori sono stati poi integrati in una geometria di diritti e garanzie che erano centrali, istituzionali, sistemici.
Una geometria dei diritti che oggi, invece, è in crisi. Perché non è più in grado di riprodursi. Le eterogenee caratteristiche e l’esito contraddittorio degli scioperi in Germania lo rendono più che chiaro.
Nell’ultimo decennio, la grande maggioranza degli scioperi ha interessato il settore dei servizi, quasi sempre sotto la guida del sindacato unico Ver.di. Forti di una legislazione che favorisce i sindacati più grandi, in questi anni i Ver.di hanno diretto o sostenuto lunghe lotte nel settore dell’educazione (ad esempio le maestre e i maestri d’asilo) o dei servizi di telecomunicazione (vedi la Deutsche Post). I risultati sono stati soddisfacenti, significativi.
Lo stesso sindacato dei Ver.di, però, è anche impegnato da quasi 4 anni negli stabilimenti Amazon. E qui i risultati non sono soddisfacenti, anzi, sembrano uscire da una lotta sindacale del 1920. Dopo anni di proteste, i Ver.di sono a malapena riusciti a far riconoscere il proprio ruolo di rappresentanza e il diritto di formare un consiglio dei lavoratori. Al tempo stesso, non ha avuto successo la richiesta di un contratto collettivo che si basi sull’usuale retribuzione del settore della vendita al dettaglio, così come non è stata soddisfatta la domanda di contratti a tempo indeterminato per molti dei 12.000 lavoratori Amazon in Germania. Non solo: non sembrano nemmeno sufficienti le continue battaglie in difesa della salute psicofisica degli impiegati più soggetti al particolare stress operativo della logistica ultra-ottimizzata. Insomma, si è ripartiti quasi da zero o, appunto, da un assetto simile ai primi anni del secolo scorso.
C’è stata una svolta profonda, epocale, irreversibile: il sindacato è capace di proteggere i propri vecchi garantiti e i settori in cui agisce da decenni. Tutto il resto è giungla.
I Ver.di sono uno dei sindacati più forti d’Europa. Se neanche loro riescono a far valere il proprio potere politico e la loro tradizionale forza lobbistica quando devono costruire una rete di diritti in realtà aziendali nuove, è evidente che qualcosa è cambiato, anche in Germania. C’è stata una svolta profonda, epocale, irreversibile: il sindacato è capace di proteggere i propri vecchi garantiti e i settori in cui agisce da decenni. Tutto il resto è giungla.
Come spiega il Prof. Klaus Dörre, uno degli autori di “Streikrepublik Deutschland?”: “Amazon è certo parte del mondo dei non garantiti, ci sono molte aziende in cui le condizioni di lavoro sono peggiori, ma di Amazon è significativa la gestione manageriale americana dal tono molto gioviale e non convenzionale, a cui si affianca però un rigido controllo dei processi produttivi. Un esempio sono i picker che smistano i pacchetti, lavoratori che sono soggetti a una costante misurazione della loro performance. Non solo, l’azienda cerca di non riconoscere il sindacato come controparte. Se confrontiamo questo aspetto con gli standard dell’economia sociale di mercato tedesca, siamo proprio in un’altra dimensione”.
Amazon, con il suo enorme significato simbolico e strategico, sta diventando un campo di prova per decidere il destino dei diritti del lavoro in tutta la Germania. Perché il modello del futuro imminente non è la produttività pacificata della Volkswagen anni ‘80, ma il sistema di conteggio dei movimenti dei picker che smistano i nostri pacchetti ordinati online.
Come dice Thomas Voß, rappresentante nazionale di Ver.di nel settore del commercio: “In questo momento tutti stanno a guardare, per capire se Amazon riuscirà a neutralizzare il sindacato ed evitare contratti collettivi. Proprio per questo la battaglia è così importante”.
Amazon non è un’eccezione importata dall’America sul suolo tedesco. Basta dare un’occhiata ad altre realtà dell’e-commerce, della logistica, dei servizi. Tante aziende tedesche hanno un approccio ancora più ostile ai classici diritti dei lavoratori. Aguzzando la vista, anche nelle grandi aziende storiche come la stessa Volkswagen, vicino ai solidi gruppi di garantiti, ci sono sacche minoritarie e disseminate di lavoratori temporanei, interinali – lavoratori non assunti direttamente dalla casa madre e, quindi, invisibili.
L’abbassamento dei salari e l’emergere dei non garantiti in Germania hanno una precisa origine storica: le radicali riforme dei primi anni 2000, quando la Bundesrepublik ha deciso di scommettere sulla competitività come nucleo del rilancio globale della propria economia mercantilista. La scommessa, è innegabile, è stata tecnicamente vincente, ma la fede religiosa nel surplus commerciale ha anche creato un ecosistema di svalutazione del lavoro in quanto tale. Un ecosistema che si è sviluppato parallelamente al vecchio assetto produttivo e che, ora, punta a sostituirlo progressivamente.
Fino a oggi, le conseguenze più aspre di un mondo del lavoro senza garanzie sono state ampiamente mitigate dalla massiccia azione del welfare tedesco. Un welfare che, de facto, rimane il grande e onnipresente garante della pace sociale del paese. Dietro all’invidiabile tasso di disoccupazione sotto al 6% della Germania, infatti, c’è uno stato sociale che agisce per un’integrazione economica dei redditi più bassi e argina la fisiologica precarietà dei lavori temporanei.
Nel frattempo, però, è proprio tra i non garantiti che stanno emergendo nuove forme di conflittualità. “In tante situazioni che non vengono nemmeno calcolate dalle statistiche – spiega ancora il Prof. Klaus Dörre – ci sono sempre più micro-conflitti in cui si svolge quella che possiamo definire una lotta di classe frammentata”.
l’attuale incertezza dei mondi del lavoro dovrà presto imboccare una strada più precisa o, almeno, più riconoscibile. Una strada che sarà fortemente definita dall’esito delle prossime elezioni politiche.
Questo vale anche per le regioni dell’ex DDR, dove è arrivata sul mercato una generazione di giovani lavoratori più insofferenti dei loro padri e molto lontani dalla cultura all’ubbidienza della vecchia Germania dell’Est.
Come evolveranno queste nuove proteste e urgenze dei lavoratori non garantiti?
È chiaro che l’attuale incertezza dei mondi del lavoro dovrà presto imboccare una strada più precisa o, almeno, più riconoscibile. Una strada che sarà fortemente definita dall’esito delle prossime elezioni politiche.
L’acutizzazione delle crisi europee, la mutazione dell’assetto atlantista e il piano inclinato delle turbolenze geopolitiche hanno raggiunto una tale intensità che l’appuntamento elettorale del 24 settembre 2017 deciderà moltissimo del futuro della Germania. Un futuro non solo politico, ma anche istituzionale.
Sul piano dell’organizzazione nazionale del lavoro, i risultati delle elezioni possono aprire a differenti prospettive di intervento statale:
– lo stato tedesco potrebbe decidere di attualizzare e rinvigorire le dinamiche dell’economia sociale di mercato, magari cercando di proporla come modello di ri-democratizzazione e rilancio del martoriato progetto europeo (andando però verso una cessione di sovranità assolutamente estranea alla cultura tedesca);
-lo stato tedesco potrebbe imporre un’ulteriore erosione delle garanzie sociali e dei salari (contrastando le urgenze di molti lavoratori non garantiti), per inseguire ancora più drasticamente la competitività su scala globale, alla ricerca di un nuovo Lebensraum economico e commerciale, al di fuori dell’ideologia europeista e dei suoi equilibri geopolitici;
-uno stato tedesco molto focalizzato sull’innovazione potrebbe puntare a liberare parzialmente il paese di alcune contraddizioni della competitività mercantilista, investendo massicciamente sull’industria 4.0 e perseguendo un duraturo primato tecnologico e di know how nel settore;
-uno stato tedesco in particolare condizione difensiva (e in fase di eversione della sua cultura democratica) potrebbe piegare la questione sociale e il lavoro a strumenti di politiche identitarie e nazionaliste, ad esempio etnicizzando proprio il welfare e i diritti.
Le quattro prospettive sono tutt’altro che esaustive e, soprattutto, sembrano anche destinate a sovrapporsi, integrarsi, sottrarsi o sommarsi (più di quanto si creda).
Quello che è certo è che qualunque metamorfosi si attuerà nel paese, passerà tramite l’organizzazione dello stato, della sua ideologia portante e dell’uso concreto della sua forza.
Prussiano, nazionalsocialista, comunista o liberal-democratico, da più di un secolo è lo stato a essere il fulcro essenziale della nazione tedesca.
Non esiste una Germania con uno stato debole e, quando esiste, si chiama Repubblica di Weimar.
REDAZIONE
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