A cena siamo un costumista di teatro, una curatrice d’arte, un filosofo ed io. A seguito di una conversazione sulle camicie con le maniche a sbuffo di fine Ottocento, si parla di serie TV. Siamo a sud del Tamigi, a Londra, a New Cross. Più precisamente nella cucina di Federico Campagna, scrittore e filosofo classe 1984. Durante il dibattito Dawson’s Creek versus The O.C. lui si schiera dalla parte di quest’ultimo, che definisce bellissimo. È ancora un follower di Misha Burton su twitter. Dopo una breve digressione sulla salute mentale dell’attrice, parla con entusiasmo di Angel, lo spin off di Buffy L’Ammazzavampiri, a cui attribuisce una qualità kirkegaardiana.
“Mi sono persino comprato dei libri di filosofia a riguardo,” confessa tra l’imbarazzo e il divertimento.
La conversazione si sposta sui giocattoli, sostiene che le Bratz, rispetto alle Barbie, abbiano vinto la battaglia culturale degli ultimi vent’anni.
“Se guardi le adolescenti inglesi, si vestono e si truccano come loro.” Dice che deve comperare i cofanetti dei Cavalieri dello Zodiaco e di Lupin, per farli vedere ad Arturo, suo figlio. Ma tutto questo è off the record.
Quando premo il tasto REC sul telefono siamo lui ed io, la prima cosa che gli chiedo è di dirmi dei suoi studi e del suo lavoro.
“Tipo CV?” mi chiede.
Ha studiato economia alla Bocconi. Poi è venuto a Londra, ha fatto un master in cultural studies e lavorato per case editrici, ultima delle quali Verso, per cui è attualmente a capo dei diritti internazionali.
In più fa un dottorato al Royal College of Arts in metafisica nella costruzione dei mondi dei videogiochi di strategia.
“Che cosa?” gli chiedo.
“Volevo studiare metafisica e volevo insegnare, quindi avevo bisogno di un dottorato e mi sono inventato questa cosa.”
Mi spiega che se un game designer deve costruire un mondo, deve compiere una serie di scelte che includono nessi di causalità, tempo, esistenza ed altre categorie metafisiche. “In genere i game designer non sanno che si stanno occupando di metafisica e quindi c’è il rischio che lo facciano un po’ a cazzo di cane.” Lui li aiuta facendo un’analisi del gioco da un punto di vista filosofico e spiegandogli come attuando altre scelte si potrebbero inventare altri mondi, che funzionano secondo altri paradigmi. Ciò aiuterebbe a creare videogiochi più innovativi. “Quasi tutti quelli che ho analizzato fin ora sono mondi che funzionano seguendo il modello platonico.” Mi illustra come funzionerebbe un videogioco basato su un mondo aristotelico e uno basato su un mondo quadri-dimensionale. Mi sembra di essere in una puntata di The Big Bang Theory in chiave ontologica. Gli chiedo se è un gamer e mi dice di no, che è solo appassionato di filosofia, ma che un dottorato in metafisica pura non glielo avrebbe finanziato nessuno, così ha trovato il modo di farsi pagare gli studi dal London Doctoral Design Centre.
Controllo nei miei appunti e non mi pare che filosofia compaia tra le facoltà in cui ha studiato. Mi dice che è un interesse che ha coltivato per conto suo, che è una passione cominciata a diciotto anni, quando leggeva libri sul buddismo chan.
“Prima i miei interessi erano politica e filosofia. Poi narrativa e filosofia. Ora sono teologia, filosofia e poesia.” Gli domando se pensa che sia sintomo dell’età. Ignora la mia battuta non riuscita e mi risponde che è un sintomo dell’età del mondo.
“Siamo in un momento storico in cui c’è un’ atmosfera da crisi del terzo secolo dell’Impero Romano, quando scoppiarono i culti misterici, quando iniziò ad affermarsi il Cristianesimo. Come durante l’Ellenismo o nell’Età Barocca. In quei periodi di grande crisi di sistema, in cui l’azione sembra impossibile è quando si torna alla poesia, all’esoterismo, alla religione e all’immaginazione di mondi alternativi. È un pensiero della decadenza, lo stesso di questa fase contemporanea.”
Di colpo mi astraggo dalla situazione e per dieci secondi impazzisco: “non so niente, non mi accorgo di quello che succede intorno a me, vivo nel mio mondo, non ho gli strumenti per capire una realtà complessiva,” è quello che inizio a pensare, mi capita spesso quando incontro persone che sembrano riuscire a vedere la globalità delle cose, la loro origine e le loro implicazioni future. Mi passa, gli chiedo cosa intenda per pensiero della decadenza e mi spiega che secondo lui é come la parte iniziale della vecchiaia.
“Quella in cui cui non hai più l’energia fisica di una volta, quindi sopperisci per sublimazione con un’esplosione immaginifica all’impossibilità di compiere nella realtà le azioni che vorresti intraprendere. Questa è la parte iniziale della decadenza, dopo c’é il disastro che è un’altra faccenda. Quello è proprio come la vecchiaia inoltrata in cui tutto va a scatafascio incluso il cervello.” Mi descrive le varie fasi del decadimento arrivando a quella che secondo lui è la conclusiva, quella che chiama il ‘canto del cigno,’ “altro non è che un salto dell’immaginazione che ti permette di superare la stasi. Altro non è che l’esoterismo. È questo quello di cui mi occupo al momento: metafisica nell’oggetto, poesia nello stile e teologia nel vicinato.”
Gli chiedo di parlarmi del suo ultimo libro Technic and Magic: The Reconstruction of Reality, che uscirà a Maggio dell’anno prossimo. La prima parte è dedicata alla tecnica con riferimento alla filosofia occidentale, la seconda è dedicata alla magia, con riferimento alla filosofia iraniana. Nel sistema della tecnica l’unica cosa che veramente esiste è il linguaggio. Tutto ciò che scivola dal dizionario del mondo svanisce, non c’è, le cose esistono solo in quanto si possono nominare. Nel sistema della magia tutto si basa sul concetto di ineffabilità. Esiste un cuore all’interno delle cose che supera ogni catalogazione linguistica. Il libro ha una struttura a specchio e quando gli chiedo se c’è una ragione specifica me ne elenca tante. In primo luogo perché gli piacciono le cose ordinate, gli piaceva l’idea che il suo libro avesse un impianto rigido, medievale. Poi permette di mettere a confronto direttamente i due sistemi, di palesarne la dicotomia. Infine è una scelta estetica, lo specchio è una metafora mistica islamica. Mi parla anche di Luca Pacioli che nel Rinascimento inventa la contabilità moderna attraverso la partita doppia, “È alchemicamente bella, quando calcoli la partita doppia disegni una croce che divide le perdite dai guadagni, alla fine del calcolo è tutto in equilibro, le entrate e le uscite, ed io lo trovo meraviglioso.” Questi sono i ricordi della prima laurea, dice poi ridendo.
Gli chiedo come mai sulla sua pagina Wikipedia c’è scritto che è un anarchico. “Perché non so come si cambia!”
Questa volta rido io, ma Federico insiste che davvero non l’ha scritta lui e non ha capito ancora come modificarla. Mi dice che comunque è a causa del suo primo libro, uscito nel 2013. In The Last Night: Anti-Work, Atheism, Adventure fa riferimento a Max Stirner, il primo anarchico individualista. Secondo Stirner le ideologie sono dei fantasmi che ti fanno vivere secondo i loro ordini e non secondo la tua volontà personale. Campagna in quest’opera intende il lavoro come l’ ideologia stirneriana.
“Sono arrivato a Londra nel 2007 che non avevo molte esperienze lavorative, ma ho subito notato come qui la tua professione ti definisse non solo socialmente ed economicamente, ma anche esistenzialmente. Il lavoro in quanto essere, metafisicamente parlando. Questo mi dava fastidio, lo ritenevo sbagliato. Nel libro paragono il lavoro ad una religione e propongo dunque una forma di ateismo radicale.” Perciò è stato interpretato come un libro anarchico che lo ha confinato in un ambito politico culturale da cui sta cercando di districarsi.
“Sono anarchico come sono anche eterosessuale, é un elemento non fondamentale della mia esistenza. Cioè rilevante sì, ma sento che non mi definisce. Se mi presento non ti dico ‘ciao sono Federico, eterosessuale’.” Mi racconta che quando era in Italia si occupava molto di più di politica, lui ed altri amici avevano fondato a Milano un collettivo di poesia di strada, quello che come definisce lui, era il suo “passamontagna letterario”. Lo avevano chiamato Eveline, come l’eroina di Joyce che doveva partire da Dublino, ma poi decide di restare.
“Anche noi avevamo deciso di restare e cambiare le cose. Ovviamente siamo emigrati tutti.”
Fa un tiro lungo dalla sigaretta, sarà almeno la quarta che si è acceso.
“Per me l’anarchismo è importante da un punto di vista etico, non politico. Funziona bene ad una dimensione più profonda. L’anarchismo alla politica sta come una pedina della dama in una partita di scacchi. Lo so che le femministe storceranno il naso, ma il personale e il politico per me non sono la stessa cosa.”
Federico Campagna, my Verso editor. Genius. At #MiracleMarathon pic.twitter.com/FHSf67fzA9
— Tim Morton (@the_eco_thought) 9 ottobre 2016
Si sta facendo tardi, Federico impila i piatti uno sull’altro e li mette nel lavello. Poi versa un altro bicchiere di vino, uno per me e uno per lui. Nonostante mi sembri una domanda banale, gli chiedo da dove nascano le idee per i suoi libri e la risposta che mi arriva è bizzarra.
“Come tutti quelli senza un grande talento o un grande cervello ho più voglia di scrivere che cose da scrivere,” mi dice, “ci sono momenti in cui vorrei tantissimo mettermi al lavoro ma non ho un’idea forte. Quindi, per disperazione, ho iniziato a sviluppare questo metodo, il quale si è poi rivelato efficace. Ero seduto in questa cucina, c’era quella palma sul mobile vicino alla finestra. Mi sono messo a fissarla e pensavo: ‘se c’é qualcosa nell’universo di interessante da guardare c’é anche qua dentro. Se in questa stanza c’é qualcosa di interessante, c’é anche in questa pianta, quindi non è importante che mi strizzi il cervello per cercare cose astruse. Qualunque cosa stia cercando è anche qui.’ Guardavo, guardavo, guardavo questa pianta cercando di capire che cazzo scrivere e mentre la guardavo mi sono accorto che cercavo anche di capire: ‘che cazzo é ‘sta pianta? Quali sono le caratteristiche di questa pianta, che cos’é la cosa fondamentale di questa pianta?’ La risposta che mi sono dato è che la caratteristica fondamentale di questa pianta è che esiste. Ma poi mi sono accorto che non ero più in grado di aggiungere altro e non sapevo articolare il fatto che esistesse. Da qui è nata la roba sulla magia: in fondo l’ineffabile è l’esistenza. La pura esistenza delle cose, il fatto che le cose esistano in maniera misteriosa e autonoma.”
Stiamo parlando da quasi un’ora ed io mi sento stanca cerebralmente perché non sono un tipo astratto. Credo che la domanda che gli ho posto più frequentemente sia stata: “Sì, ma un esempio pratico?” Decido di esporgli una mia teoria, tanto per invertire i ruoli. È piuttosto semplice, concreta, gli dico che mi sembra che sia sempre un passo avanti a quello che poi diventerà una moda, il libro sul lavoro è uscito poco prima che in Inghilterra ci fosse un trend anti-lavoro. Il padiglione italiano della Biennale di Venezia, dove Federico è stato invitato a fare una presentazione, era a tema magia, così come l’edizione di quest’anno del festival Impakt di arte e tecnologia ad Utrecht. Persino la cittadinanza inglese l’ha presa qualche mese prima della Brexit. Ci riflette un secondo e poi concorda. Sembra ragionare ad alta voce quando mi informa che poco tempo fa in Inghilterra c’è stata una riscoperta dell’eredità del ’77 Italiano, degli autonomi, degli indiani metropolitani. “È ora è ora lavora solo un’ora” oppure “ Lavora zero, reddito intero” è quello che dicono gli accelerazionisti oggi, ma erano anche le scritte che comparivano sui muri di Bologna alla fine degli anni Settanta. Del tema della magia ci aveva fatto caso anche lui e la cosa lo aveva divertito. Scrolla le spalle e dice che probabilmente è fortuna.
Poi però precisa che nell’ultimo caso non ci voleva un genio a capire dove si stesse andando a parare.
“Avendo vissuto per due decenni in mezzo ai leghisti, i razzisti li fiuto da lontano.” Il motivo per cui ora è un cittadino britannico ha poco a vedere con la politica, “ Ho un figlio qui, non potevo permettermi di farmi cacciare dal paese.” La frase che aggiunge dopo lascia intendere che se le circostanze fossero diverse, magari ora sarebbe da un’altra parte. Lo dice come dopo aver assaggiato il piatto di un commensale al ristorante e trovarlo più gustoso del proprio. “A suo modo Londra è un posto interessante in cui stare adesso, perché ha un che della Vienna di Musil del 1914. È come vivere ai tempi supplementari. Nulla è cambiato, ma c’è un’atmosfera da catastrofe incombente, ed è affascinante. Fa parte di quel pensiero della decadenza.”
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In copertina: Federico Campagna rivisitato da Yanez © riservati
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