È il primo aprile del 1979. Da un luogo appartato, appena sotto una delle piazze più trafficate – per quanto possano esserlo quelle di una cittadina di provincia alla fine degli anni ‘70 – arriva un vociare costante. Disturbante per chiunque. Ma non per lui. Non per mio padre che è lo spacciatore diurno e autorizzato di una folla di uomini drogati, che lo amano e lo odiano e che, a sua volta, lui stesso ama e odia.
Stasera si corre il Gran Premio Lotteria di Agnano. Vincerà di nuovo Last Hurrah. Al trotto.
Questo mondo si divide sempre in due: Trotto e Galoppo, scommettitore e broker, dentro e fuori la sala corse. Dentro e fuori un luogo che ufficialmente non esiste.
Lui, mio padre, conserva memoria delle loro facce. Potrebbe facilmente rovinargli la vita, ma non lo fa perché c’è un’etica dietro a tutto questo.
Quando telefonano le mogli disperate – mi ripete spesso – si risponde, sempre e comunque, “non c’è”.
Se si finge di non conoscerli, ancora meglio. Il segreto professionale va mantenuto, come preti in un confessionale. Loro attingono dal nero, il fondo cassa personale, per togliersi le piccole soddisfazioni da uomini: donne e gioco.
E sigarette. Tante sigarette.
L’odore di fumo impregna ogni angolo. Putrido e schifoso e acre odore di fumo, che rigetta qualsiasi profumo, qualsiasi gioia possibile ed entra dentro, si appoggia sulle ossa, come uno strato cancerogeno. Sta sui muri, sta sulle sedie di formica marroni, sulle piante finte, sulle bacheche di plastica dove ogni giorno vengono appese le liste partenti.
Oggi su quella di Agnano c’è scritto High Echelon. High Echelon perderà. Come ha perso lo scorso anno Granit, anche se ci ha provato con un’accelerazione esterna sul rettilineo finale, in dirittura d’arrivo.
L’avvocato è là fuori, nel tiepido sole di aprile, come un guerriero che batte ritirata, fumando. Indossa una giacca grigio topo e accenna un sorriso beffardo.
Varcata la soglia di una sala scommesse, molti perdono il nome proprio, diventando il loro lavoro, il loro difetto fisico, il loro stile di gioco. Insomma, sono tutto tranne che un marito, un padre, un figlio.
Mio padre lo immagino mentre attraversa la saletta e non si aspetta di fare quel lavoro per tutta la vita.
Il Radio Printer picchietta in lontananza, su striscioline di carta, le cronache e gli arrivi delle corse. I piedi affondano in sabbie mobili di “bollette” di colori diversi, ogni colore un importo. Su alcune si riconosce la calligrafia di mio padre. Su nessuna invece c’è quella del capo. Il proprietario è come se fosse suo zio, ma non sono parenti. Le quote e gli importi massimi che si possono scommettere li decide lui. Di solito il proprietario è anche un giocatore. Tra qualche anno, quando cambierà tutto e ci sarà un sistema centralizzato e le quote saranno decise dall’esterno e le agenzie non pagheranno le vincite di tasca propria – quando lui sarà il proprietario, ereditiero di un compito ingrato, ma che tutto sommato apprezzerà – mio padre non sarà un giocatore.
Chi è da questa parte del vetro – dice sempre – campa sui soldi di chi scommette. Se loro perdono, io vinco. Questo è il motivo per cui non potrò mai essere uno di loro.
Mozzarella sta poggiato al muro dall’altro lato del locale e lo guarda con l’unico occhio funzionante. L’altro se l’è giocato in una rissa. Mozzarella è tra i pochi ad avere un odore che sovrasta quello del fumo. Mozzarella, come è facile indovinare, puzza di formaggio. Ogni sera quando torna a casa dal lavoro strofina le mani con acqua e limone, più volte. Ma non basta, sua moglie si lamenta e quando la notte si ritrovano in camera da letto, stesi su quel grande letto matrimoniale, con la porta chiusa e le imposte chiuse e la bocca chiusa, allora è chiusa anche lei, che non vuole che lui la tocchi con quelle mani che sanno di caglio. Ma lì dentro tutto questo non conta. Nelle mani stringe un foglietto con un nome scritto a penna: Speed Expert. 1000 lire, piazzato. Ovviamente, non sa che il driver di Speed Expert, quando salirà sul sulky avrà un sussulto, un rigurgito biliare, e penserà una volta di troppo a quella cosa a cui si è ripromesso di non pensare e che non riuscirà a sfruttare le capacità del suo cavallo che seppure si chiami “esperto di velocità”, per quella volta sarà solo un esperto di come vedere il culo di Delfo ondeggiante, al trotto, in quel passo che appare così innaturale.
Mozzarella, insieme al Viaggiatore e al Ragioniere, sono di quelli che in gergo vengono chiamati i capellini, quelli che non giocano mai più di duemila lire e in sala corse non ci vanno per vincere, ma solo per partecipare.
Una volta, mi ha raccontato mio padre, è entrato Motel. Il Viaggiatore e il Ragioniere erano seduti subito vicino all’ingresso e appena quello è entrato hanno alzato la testa e si sono messi pronti ad ascoltare. Con un po’ di attenzione si potevano vedere le loro orecchie distendersi e diventare più grandi, con un movimento di espansione impercettibile come la lancetta dei minuti di un grande orologio a muro. Motel ha salutato tutti e ha diretto la sua ampia falcata da piccola palla rimbalzante verso il Proprietario. Ha detto: Cinquecentomila lire su Big Joe a Capannelle.
Il Proprietario, grande esperto, ha fatto quell’espressione che fa quando ricorda e ha detto: Sono troppe. Al massimo cinquantamila.
Il cavallo favorito a quella corsa non è Big Joe. Il favorito è Limbo Prad, un Dormello Olgiata di un profondo color cioccolata. E il proprietario è proprio Motel, che ha chiaramente detto al suo fantino di trattenerlo per non farlo arrivare primo. Ti pago, gli aveva detto, magari. Facciamo a metà della vincita. Si scaldano gli animi, si viene quasi alle mani. Proprietario contro Motel. E dietro, viscidi come piccoli esseri nascosti nell’ombra, pronti a salire sul carro del vincitore ma con un massimo di mille lire – che la diffidenza non è mai troppa – il Viaggiatore, il Ragioniere e Mozzarella. Quest’ultimo, nel frattempo, era stato chiamato dai due con un cenno a cui aveva prontamente risposto. E dando un colpetto con il piede al muro dove stava sempre appoggiato, lì nel suo angolo insieme alla sua puzza di cacio, si era spostato nei paraggi.
Alla fine Motel ha scommesso centomila lire. E tutti gli altri mille lire a testa, e anche il Proprietario ci ha scommesso, tipo cinquantamila o una cosa così. Solo che nessuno di loro poteva sapere che, da qualche parte a Roma, qualche ora prima dell’inizio della corsa, un ometto basso, di circa quarant’anni, stava scommettendo cinquecentomila lire proprio su Limbo Prad. Glielo aveva detto suo fratello, che su Limbo Prad starà a cavalcioni con il culo in aria, e che non ha intenzione di dividere proprio niente con quel viscido nanerottolo panzone di Motel. E allora il cavallo non lo tratterrà, ma lo lancerà all’inseguimento di Big Joe arrivando al palo del traguardo con un distacco di circa venti metri facendo così contemporaneamente cadere bestemmie sul pavimento grigio e sporco di una sala corse in una cittadina di provincia, a circa ottanta chilometri.
E quando Varenne va a vincere tutti i giocatori che sono sotto al televisore esplodono agitando le braccia in aria con i loro pezzettini di carta stretti in una mano, imitando Giampaolo Minnucci, il guidatore, che nel frattempo esulta sullo schermo.
Mio padre lo immagino mentre attraversa la saletta e non si aspetta di fare quel lavoro per tutta la vita.
Il Proprietario lo guarda da dove sta seduto e sorride, incorniciando con la bocca rugosa i denti ingialliti che stringono una sigaretta.
Vuole davvero correre il rischio di diventare così?
È il sette maggio del 2000. C’è sole e fa abbastanza caldo. Mio padre parcheggia e percorre lo spiazzo che divide dall’ingresso posteriore dell’agenzia. Le scarpe fanno scricchiolare la ghiaia. Il fresco del locale lo accoglie.
Sono le nove e mezza di mattina e tra qualche minuto cominceranno ad arrivare i primi clienti.
Siamo all’alba del nuovo millennio eppure questi sembrano sempre fermi nello stesso punto. Certo, da quando ci sono anche le scommesse sullo sport e quella non è più una sala corse, ma un’agenzia di scommesse o, meglio ancora, un Punto Snai, che sono nomi più accettabili, ogni tanto si vede qualche faccia più giovane e addirittura qualcuno vestito decentemente. Ma ce ne sono anche alcuni, la vecchia guardia, che sembrano non essersi mai spostati da là dentro.
Entrando si può vedere l’ombra del Barbiere sulla parete. È un’ombra giallognola, bassa e tarchiata, appena all’ingresso della sala in fondo. Quella sala che tra un paio di anni, post Legge Sirchia, diventerà la sala fumatori, o saletta.
Stasera al Gran Premio Lotteria di Agnano corre Varenne, figlio di Waikiki Beach e Ialmaz, Il Capitano. Nessuno ancora sa che lo vincerà tre volte di seguito, compreso stasera, un’impresa riuscita solo a Une de Mai all’inizio degli anni ‘70 e che verrà eguagliata solo da Mack Grace Sm nel 2014.
Alla spicciolata arrivano gli irriducibili. La Zappa, il Pompiere e Cimitero, si piazzano sotto i televisori e se ne stanno intenti a studiare la situazione. I fattori importanti sono il peso del fantino, la forma del cavallo, le condizioni meteo e le condizioni del fondo pista. Una serie infinita di variabili nel calcolo delle probabilità sulla vittoria che un cervello medio non riuscirebbe neanche a pensare di elaborare. Eppure loro sembrano impegnarsi davvero e si incastrano su interminabili discussioni pre-scommessa su chi abbia più probabilità di vincere nonostante non sia quotato come favorito e poi su discussioni post-scommessa su chi avesse ragione e sulle mille scusanti da darsi per aver perso. È piuttosto chiaro che in realtà non ci capiscano nulla.
Uno dei personaggi più interessanti dell’era moderna di questa agenzia ippica di provincia è l’Imprenditore. Di lui non si sa quasi niente. In realtà, che sia un imprenditore lo ha deciso mio padre, come spiegazione più logica alla quantità di soldi che può buttare in scommesse improbabili. Oppure, forse, è l’unica spiegazione accettabile. Con il tempo ha imparato a non fare loro troppe domande, a non salutarli quando li incontra per strada. Fuori da lì, per lui, loro sono nessuno. L’Imprenditore è un signore esotico che indossa sempre un grande cappello a falda larga di colore beige e camicie di gran marca. Quando entra si atteggia da padrone del locale. Si fa offrire anche il caffè, che tanto poi i soldi che entrano in cassa sono in buona parte suoi. Un giorno lo abbiamo incontrato al centro commerciale con la moglie. Spingeva il carrello nel bancone dei salumi. Mio padre mi ha dato di gomito con un movimento impercettibile. Poi si sono guardati, di sfuggita, negli occhi e quello ha velocizzato il passo e si è perso tra gli scaffali e le corsie, inghiottito da qualche parte imprecisata tra gli yogurt e i fagioli in scatola. Ho pensato che sarebbe stato bello poterlo richiamare con gli altoparlanti alle casse. L’Imprenditore è desiderato alle casse dal suo spacciatore segreto. Ripeto. L’Imprenditore alla cassa numero tre. Sarebbe stato davvero divertente.
Nel pomeriggio arrivano le ragazze che stanno alla cassa, le sportelliste. Oggi ce ne sono tre di turno, per via di Varenne. E infatti una fila interminabile si forma poco prima dell’inizio del Gran Premio. Ad Agnano c’è il sole e i cavalli sgambano in pista prima che cominci la gara. Il segnale è il mezzo meccanico che si mette in movimento e tutti i cavalli partecipanti che si schierano dietro alle sue enormi ali di metallo, si allineano e al paletto dei duecento metri il mezzo meccanico prende velocità lasciando i cavalli alla loro gara.
Alla tv una voce fastidiosa che tende sempre a salire verso l’alto e non azzecca la pronuncia di quasi nulla comunica che Venere Ok è in testa e che, poco dopo i quattrocento metri, viene a largo, e la supera, Gill’s Victory (che la voce pronuncia gillisvittori). Al superamento della penultima curva, Varenne ha allungato il passo e si trova in terza posizione a largo di Venere Ok quando gillisvittori ha appena superato il mezzo miglio. Sul penultimo rettilineo Varenne aggancia gillisvittori, che supera all’ultima curva. Ormai in testa, ci dice ancora la voce, Il Capitano è padrone della situescion e sulla retta d’arrivo se ne vaaaa, cosa che allo speaker gusta, come ci tiene a comunicare. E quando Varenne va a vincere tutti i giocatori che sono sotto al televisore esplodono agitando le braccia in aria con i loro pezzettini di carta stretti in una mano, imitando Giampaolo Minnucci, il guidatore, che nel frattempo esulta sullo schermo. E loro ridono e ridono e ridono. E anche mio padre e le sportelliste ridono tanto, ma lui più di tutti. Perché sa che il vizio del gioco è quella cosa che costringerà tutti i presenti con le loro belle scommesse vincenti in mano ad andare a ritirare il premio, il quale resterà nelle loro tasche per un tempo massimo di dieci minuti, non più del necessario insomma prima che la prossima corsa parta da qualche parte, forse all’ippodromo di Albenga.
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