Gabriele ed Elia.
Sono le undici di sera, Gabriele impila tre libri uno sopra l’altro; Il Silenzio degli Innocenti, il Destino del Leone ed Energy Flash. Appoggia il suo smartphone sulle coste, in modo che resti in piedi e che l’occhio della fotocamera riprenda parte del letto a due piazze.
Quando Elia entra nella stanza, dopo essersi lavato i denti, Gabriele gli dice da quale parte deve stare. Domanda ‘non riesci a sdraiarti leggermente verso l’esterno?’
Elia si sposta un poco, tirandosi dietro le coperte. I due amici controllano minuziosamente ogni movimento, perché ogni cosa resti all’interno dell’inquadratura. Gabriele si specchia, controlla che tutto si veda. Dice ad Elia ‘sdraiati che cominciamo.’
Apre Facebook e digita uno status: “sto dormendo da Elia in diretta.”
La Diretta Facebook comincia.
Gabriele spegne la luce e si mettono a dormire.
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La Signora
Roma, il giorno va spegnendosi partendo da un giallo sbiadito e sfruttando tutte le tonalità di rosso possibili, così da descrivere al meglio il tramonto che si merita la città più antica del mondo. A Cesare ciò che è di Cesare.
Un giorno, un grande uomo disse che se vuoi conoscere la vita dei potenti, devi passare del tempo su di una terrazza romana.
Quel grande uomo amava la sua città, tanto da divenire poco obiettivo. La Signora lo è, invece. Sorseggia del Bitter Campari da un bicchiere che non è di cristallo mentre aspetta che i suoi ospiti arrivino, all’ultimo piano di un palazzo d’epoca sull’Aventino. Osserva la capitale spegnersi di luce naturale e accendersi di quella artificiale dei lampioni e dei fasci che inquadrano i monumenti, che sembrano attori pensierosi e forse lo sono. La Signora si muove lenta, è spigolosa come i suoi passi, questa donna magra che, per tutta la vita, ha cercato di nutrire il suo ego, fino a farlo implodere e sperdere dentro, incastonato in una celebrità che non è riuscita a diventare leggenda.
Ora la chiamano La Signora, ma un tempo era La Ragazza di Cinecittà. Quando il cinema italiano si mangiava il mondo, quando alle cene importanti potevi incontrare Fellini e Leone, Mastroianni e Gassman, magari anche tutti insieme, che ti raccontavano le storie con quella loro aria di chi sapeva tutto, ma non ti dava la soddisfazione di sbattertelo in faccia, quel loro essere degli immortali. Perché lo sapevano già allora e diventavano la voce narrante dei loro film in quella lingua furbesca, inconfondibile e allo stesso tempo altissima.
E la guardavano questa ragazza qui, quella che ora è La Signora. La osservavano sfacciati, mentre passava accanto a loro e accanto a tutti, perché era giusto così.
Lei sapeva cantare. Aveva la voce di tre angeli che cinguettavano in coro, in decine di tonalità diverse, come il tramonto di Roma. Quanto era talentuosa quella ragazza, quanto è malinconica La Signora.
Pepe è alle sue spalle, lei lo percepisce perché ormai ha fatto l’abitudine al suo passo leggero, a quel modo che ha, il suo maggiordomo filippino, di restare fermo e silenzioso.
‘I miei ospiti sono arrivati?’ chiede La Signora, senza voltarsi.
‘No signora, hanno chiamato tre dei suoi invitati, dicendo che non sarebbero riusciti ad arrivare.’
‘Alvaro è tra questi?’
‘No signora, Alvaro ha chiamato due giorni fa, dicendo che non sarebbe venuto. Ha un invito ad una festa ad Ostia, proprio stasera.’
‘Bene. Vieni, siediti Pepe.’
Il fedele maggiordomo ha un tentennamento, unisce le mani dentro i guanti di seta bianchi ed è una cosa che gli è sempre stata vietata di fare. No le mani in tasca. No le braccia conserte. No le mani in mano.
‘Vieni, vieni.’ lo invita La Signora.
Lui si avvicina di qualche passo.
‘Siedi, siedi qui.’
Pepe si accomoda su di una sedia di ferro battuto laccata di bianco, sopra un cuscino morbido a bande biancoazzurre che La Signora ha fatto arrivare da Forte dei Marmi, in stock.
‘Da quanti anni ci conosciamo Pepe, da quanti anni lavori per me? Da tanti, ero una ragazza ancora, anzi, ero La Ragazza di Cinecittà. Te li ricordi i miei film?’
Lui non dice nulla. Guarda verso il vuoto di Roma, sotto di loro.
‘Io me li ricordo tutti i film che ho fatto e mi ricordo come mi guardavano i registi e come si sentivano in difetto quando non sapevano cosa dirmi perché ero perfetta. Io ero la voce di Roma. Tu lo sai, vero Pepe? Non c’era nessun’altra come me. E Alvaro preferisce andare ad una festa ad Ostia, in mezzo alle veline, ai tronisti e ai calciatori. A quei menestrelli senza futuro, quelle attricette di serie b.’
La Signora estrae da una pochette un telefono cellulare, armeggia senza più badare a Pepe, che resta lì, seduto su quella sedia, senza appoggiare la schiena. Con le mani in mano.
‘Aiutami a far funzionare questo aggeggio.’ si avvicina oscillando sui tacchi delle décolleté e gli passa lo smartphone.
‘Fai partire Facebook, Pepe.’
Lui esegue. Un istante dopo fa per ripassarglielo.
‘No, tienilo tu, fammi un video.’
Pepe allora sa quello che deve fare, anche se La Signora non glielo dice, anche se, forse, non è quello che vorrebbe. Perché lei ora sta cantando, muovendosi come un manichino, come un clown di Fellini. Ad occhi chiusi con il bicchiere in una mano ed un microfono finto nell’altra.
Il maggiordomo è sulla pagina ufficiale de La Signora e fa partire la Diretta Facebook.
Lei canta la sua canzone migliore, mentre il buio scende e l’illuminazione programmata accende la terrazza, come se fosse un palco.
È stonata. La Signora è l’ultimo dei tentativi dell’essere quello che fu. E fa un poco pena. Canta della sua bella Roma, ondeggiando sulle gambe magre che sembrano rami secchi. Forse si spezzeranno, come quel suo cuore che lascia uscire lacrime che forse sono finte, costruite per il pubblico in platea. Per Pepe, il maggiordomo filippino.
E il trucco si sperde, macchiandole quella sua pelle di cartapecora.
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Rupert Hark
C’è un film di Larry Clark in cui un ragazzino prende la sua tavola da skate, si fa qualche isolato sui titoli d’inizio e, con in sottofondo un un pezzo dei The Bouncing Souls, arriva ad uno skatepark. Si siede in mezzo a tutti quelli che stanno facendo su e giù per le rampe. Tira fuori dallo zaino una telecamera, la mette in REC.
Poi estrae una pistola e si fa saltare la testa.
Poi ci sono quei due ragazzini che hanno fatto fuori tutta la scuola, alla Columbine nel ‘99. Harris e Klebold, martiri e star. Immagina se avevano la Diretta Facebook, quei due. Con tutte quelle bombe fai da te e i fucili a pompa e la Tec 9 e i ragazzini che scappano da tutte le parti. Un vero show.
C’è anche il tizio che a Miami s’è mangiato la faccia del senzatetto, come si chiamava, Poppo, ma quello era troppo fatto per far partire una Diretta.
Rupert esce di casa, sale sulla macchina del padre e parte. Sono le quattro del pomeriggio.
Prima di entrare nell’emporio sulla statale, si attacca la GoPro alla pettorina di plastica nera con del nastro isolante. La camera è collegata allo smartphone. Ha programmato la Diretta sulla pagina Facebook ufficiale dell’armeria di famiglia alle 16.16. Ha ancora tre minuti. Quando sarà davanti agli occhi di tutto il mondo, vuole farlo alla grande; scende dalla macchina e si specchia nel finestrino, in modo che il suo riflesso venga ripreso. Guarda l’orologio, quaranta secondi. Apre il bagagliaio, estrae l’UZI rubato dal negozio. Un caricatore basterà. Nell’emporio non possono esserci più di sei persone.
16.16.
‘Ciao mondo. Qui Rup Hark, quello dell’armeria di Fort Atkinson. Wisconsin.’ Rupert sorride rivolto al finestrino dell’auto. Il suo viso viene riflesso nell’occhio della GoPro. Solleva il mitragliatore e lo guarda stupito, poi si volta ancora verso se stesso.
‘Ma cosa abbiamo qui? Un regalino di papà. A cosa mi servirà questo aggeggio strano? Tappatevi le orecchie gente, oppure abbassate il volume dei vostri supporti, perché fra poco ci sarà un bel po’ di casino.’
Rupert Hark, di anni diciassette, copre in venti passi la distanza che lo divide dall’emporio. Una cliente esce non accorgendosi del suo arrivo. Inizia la festa.
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N.B. L’utente ha sbagliato a calcolare l’orario di “lancio” dell’Evento-Diretta.
Kuang Chi
In Giappone gli Hikikomori esistono dagli anni ottanta, negli Stati Uniti e in Europa ci sono arrivati come una moda, nel nuovo millennio.
Stare rinchiusi in casa per anni, senza mettere la testa fuori, senza avere contatto fisico e umano con nessuno. È un’auto-prigionia.
C’è un errore però, non è vero che un Hikikomori non ha contatto umano, mentre è verissimo che non ha contatto fisico.
Un hikikomori ha molto più contatto umano di chiunque altro. Perché c’è internet e oggi l’internet è il contatto umano.
Kuang vive in un appartamento al settimo piano di un palazzo di Matsudo, nella prefettura di Chiba. Il terzo giorno di ogni mese paga puntualmente l’affitto. Si guadagna da vivere come sviluppatore di grafiche per videogiochi. Lavoro da casa. Grazie all’internet, il miracolo della terra.
Il padre di Kuang è morto quando lui aveva sei anni, la madre vive a Tokyo con la sorella minore. La sua psicoanalista si è suicidata tre mesi fa. Era l’unica che gli permetteva di fare le sedute via Skype.
Per un intero mese Kuang ha fatto fatica a dormire, tormentato dall’idea di essere in qualche modo legato alla morte della dottoressa Hui.
Un suo contatto Facebook l’ha aiutato molto.
Tra i suoi ‘amici’ ci sono solo Hikikomori, prima di confermare qualsiasi amicizia si assicura, tramite le sue conoscenze on line, che il contatto sia pulito. Gli Hikikomori sono molto bravi con l’informatica, molti di loro sono ex hacker professionisti. Alcuni diventano hacker nel momento in cui smettono di essere Hikikomori. L’essere hacker è la pensione dell’Hikikomori oppure, per chi va al contrario, il suo stadio avanzato; devi solo sforzarti ad uscire di casa. È un momento terribile a cui Kuang non vuole assolutamente pensare.
Kuang ordina on line da quattro negozi diversi, a seconda dei prodotti che gli servono. Ordina tutto lo stesso giorno, assicurandosi che i fattorini arrivino a distanza di un giorno l’uno con l’altro. In una settimana ha la spesa che gli serve per due mesi.
Ha costruito un cassone con doppio sportello, nella porta blindata, nel quale i fattorini possano appoggiare la spesa, senza avere la possibilità di guardare all’interno della casa.
Oggi è martedì. La sveglia suona le 9 del mattino. Kuang si alza dal letto, si sposta in sala dove ha posizionato, sul pavimento e su delle mensole, 18 monitor collegati a quattro computer differenti, con i quali può gestire diverse finestre. Tramite una sua vecchia conoscenza, è riuscito ad impostare, sulla stessa linea, 22 indirizzi IP.
Passando per andare in cucina accende i sette monitor sul pavimento. Dal frigorifero estrae dello yogurt magro, una bottiglia d’acqua frizzante. Guarda la foto di suo padre, sul tavolo da pranzo, quasi sommersa da involucri, sacchetti e stoviglie. È solo un attimo. Un uomo sorridente ed orgoglioso, immortalato di profilo mentre guarda qualcosa, davanti a sé. Il futuro, pensa Kuang. È solo un attimo ancora.
Torna in soggiorno, accende il resto dei monitor e si siede al centro della stanza, con tre tastiere davanti. Lentamente, tutti i suoi contatti Facebook accendono la Diretta. Sembrano occhi che si aprono dopo il sonno, al mattino sul mondo.
È questo quello che siamo, pensa Kuang. E quello è il loro mondo, la loro natura, il loro habitat. Loro sono il centro di loro stessi. Soli e rinchiusi, ma occhi di tutti e di nessuno. Perché è semplice dire di conoscersi. Troppo semplice.
Media utenti in Diretta per durata evento: non pervenuta
Didier e Amelie
Didier è in piedi da otto ore. È il suo compito stare in piedi, anche se i dottori gli hanno detto che può riposare, può sdraiarsi, se vuole, c’è un letto libero in una camera.
Non può. Deve vegliare su Amelie. Alla decima ora di travaglio inizia ad avere contrazioni dolorose e Didier pensa che sono finalmente pronti.
Perché ha un altro importante compito.
È una cosa a cui sta pensando da settimane, deve essere tutto perfetto.
Ha già scattato un selfie insieme ad Amelie appena arrivati in ospedale. L’ha postato tramite Instagram e condividendolo poi su Facebook con lo status ‘ACQUE ROTTE. SI PARTE!1!!’ #newborn #DidierAmelie
Didier aspetta il momento buono per parlarle.
‘Amore, posso partire con la Diretta? Mio padre dice che è pronto a casa con i parenti e mio fratello mi ha chiamato dal pub.’
Amelie risponde con un urlo straziante.
Il fratello di Didier ha affittato un intero locale in centro, ha fatto installare quattro monitor e un maxischermo. Ha speso 400 euro più 600 euro di affitto del locale per tutto il giorno e tutta la notte, per ogni eventualità. Mille euro, Didier è commosso dal gesto del fratello.
Sono in Diretta.
Didier è emozionato nel vedere che, dopo nemmeno dieci secondi, ci sono già 45 utenti collegati. Contando che al pub ci saranno almeno un centinaio di persone e a casa di suo padre non meno di trenta parenti, questa è una grande cosa. Gli manca il fiato mentre dice: ‘Ciao a tutti, ben collegati dal Saint-Louis di Parigi. Oggi è un grande giorno, perché la piccola Sofie sta per conoscere il mondo. E lo farà insieme a voi.’
L’ultima parte della frase viene nascosta da un altro urlo straziante di Amelie.
‘Ecco una bellissima contrazione della mamma’ si affretta a dire Didier, volgendo la camera dello smartphone verso il volto distrutto dal dolore della moglie, la quale accenna un sorriso, prima di sparire nuovamente nelle doglie.
‘Siamo in piedi da molte ore, ma tutto va liscio come l’olio, almeno così dicono i dottori e noi ci dobbiamo fidare.’
Didier si allontana dalla moglie, anche perché le sue urla non gli consentono di comunicare come vorrebbe e quel momento l’ha aspettato per tanti mesi. La nascita di sua figlia. E ciò che si è preparato per il suo pubblico speciale.
Gli utenti collegati salgono a 73. Didier si sente una star.
Gira su se stesso come un birillo colpito da una palla da bowling, in cerca di qualcosa di incredibile da fare oppure da dire. Torna nella stanza dove Amelie sta combattendo contro le contrazioni.
L’ostetrica le sta accanto e le sussurra qualcosa nell’orecchio, mentre Didier riprende tutto. Amelie fa un cenno di assenso con il capo, guardandosi la pancia sotto la vestaglia larga.
Poi succede qualcosa.
Gli utenti diminuiscono vorticosamente; da 73 passano a 34 in meno di venti secondi. Didier non capisce. La sua connessione va a gonfie vele. Si precipita fuori, verso la prima infermiera.
‘Avete il Wi Fi in questo ospedale?’ mentre pronuncia quelle parole fuori dal suo copione, deve comunque atteggiarsi, perché ci potrebbero essere ancora degli utenti collegati.
‘No signore, non possiamo dare il Wi Fi così, a richiesta.’
‘Cosa significa? Mia moglie sta partorendo. La sente urlare? Manca poco. Io ho bisogno di quella connessione. Sta soffrendo, la sente? Deve darmi la connessione.’
L’infermiera si sporge verso la porta semiaperta dalla quale le urla di Amelie si riversano violente nel corridoio.
‘Ci sono dei documenti da firmare.’ dice l’infermiera ‘sono dei moduli, per via dei rischi che può causare la connessione.’
‘Mi dia questi documenti.’
12 utenti.
‘Le deve firmare sua moglie, queste carte.’
Didier corre all’interno della stanza, sempre reggendo il cellulare davanti a sé.
‘Cari amici, stiamo cercando di risolvere un problema tecnico. Presto torneremo ad essere al pieno delle tacche.’
Poi si rivolge ad Amelie.
‘Amore, devi firmare dei documenti per avere la connessione, altrimenti non ce la possono dare. Però, vedi, siamo a 0 utenti in linea. Vuol dire che è successo qualcosa, cristodiundio.’
Amelie prende respiro e in un urlo strozzato, afferrando il braccio del marito dice
‘Sta nascendo. Ora.’
Didier sgrana gli occhi, si volta verso l’ostetrica, la quale gli fa cenno di spostarsi e si posiziona davanti alle gambe aperte della ragazza.
Lui guarda lo schermo del suo cellulare, specchiando il suo volto distrutto dalla delusione.
‘Non puoi aspettare un secondo? Firmiamo i documenti e ci danno la connessione.’
Media utenti in Diretta per durata evento: 61
Utente Anonimo #3.122
Quattro uomini e una donna lavorano in un bunker a trentacinque metri sottoterra, ricavato da quella che in origine era una miniera in un punto non segnalato dalle mappe, da qualche parte in America Centrale.
Utente Anonimo #2.067 indossa occhiali a montatura spessa, i baffi curati si appoggiano agli angoli delle labbra, cadendo come macchie di inchiostro verso il mento.
Utente Anonimo #3.122 è certa che Utente Anonimo #2.067 sia di origine messicana, nonostante nessuno dei cinque professionisti scelti dal governo americano, possa rivelare le proprie generalità ai colleghi.
Si vede da quella faccia di cazzo annoiata, che sei messicano, pensa Utente Anonimo #3.122. Poi pensa che vorrebbe scoparsi Utente Anonimo #1.200. Lui è sicuramente americano, è il leader lì dentro, in quell’anfratto schifoso di mondo. È bello, con quella sua fronte spaziosa e il tatuaggio di una bottiglia di birra sull’avambraccio, che a stento riesce a nascondere sotto la camicia. Si vede che non è abituato a portare abiti eleganti.
Sono mesi che non viene più nessuno. Sei mesi, precisamente. L’occhio sopra le loro teste continua ad osservarli, proiettando le immagini a circuito chiuso in chissà quale ufficio del mondo, davanti agli occhi di un qualche funzionario della Casa Bianca o dei Servizi Segreti.
Zuckerberg ha cambiato il mondo, il mondo ha cambiato Facebook.
Utente Anonimo #3.122 è stata addestrata da ex spie russe, cinque anni di addestramento, per ritrovarsi sepolta viva davanti a 120 monitor full hd ad osservare le vite degli altri.
Uno stronzo qualsiasi in Italia si riprende mentre dorme insieme ad un amico, un sosia di Micheal Jackson si manda in diretta mentre fa un concerto tributo in una piazza di Siviglia, migliaia di dj sparsi in tutto il globo riprendono in Diretta Facebook le proprie performance. Un ragazzino negli Stati Uniti fredda con un UZI, cinque paki e due canadesi dentro un emporio pakistano di provincia.
Ogni essere umano viene scansionato e congelato in ogni sua espressione, movimento, parola.
Una ragazza si manda in Diretta Facebook, ogni giorno dalle 18.00 alle 21.00, mentre fa jogging a Berlino. La GoPro collegata allo smartphone puntata sulle scarpe da tennis. Spesso Utente Anonimo #3.122 si ipnotizza su quel movimento ritmico.
Le scansioni, che vengono registrate con una latenza di 35 centesimi di secondo – quasi in Diretta – vengono archiviate in dei server alimentati a Napalm ed inviati ai Centri di Smistamento e Analisi. Ce ne sono trentadue nel mondo. Quindici sono dislocati tra l’Africa e l’Asia Meridionale. Due sono a Cuba.
I maggiori campionati di calcio d’Europa vengono trasmessi in Diretta Facebook. Gli stadi sono vuoti. Un sommozzatore in erba viene ucciso da un gruppo di delfini in Diretta. Una nota star inglese si toglie la vita sparandosi in un occhio.
Il Corpo Scelto di cui fa parte Utente Anonimo #3.122 prova, da mesi, a bloccare le nascite che vengono mandate in Diretta, così come le morti.
A bloccare la vita. A bloccare la morte. Registrando la vita e registrando la morte.
Capito?
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in copertina: Ken Park di Larry Clark – screenshot
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