Nella U-Bahn, durante le poche stazioni che mi separano dal Nikolaiviertel, mi alieno da tutto e tutti, facendo lavorare le mani sui punti che sto tessendo a maglia. Esco a Klosterstrasse e mi accoglie il cielo grigio, sopra la torre della televisione, imponente a questa breve distanza.
A parte il nome, Designpanoptikum – surreales Museum für industrielle Objekte (Museo surreale degli oggetti industriali), online non ho trovato nessuna descrizione del luogo in cui mi sto dirigendo, soltanto alcune foto dai colori sgargianti, che mi hanno comunque convinta.
Svolto nella stradina dove dovrebbe trovarsi l’edificio e mi trovo davanti a una serie di vetrine che espongono una parte degli oggetti della collezione: sono le 15.28, e il museo apre alle 15.30.
Un uomo sulla quarantina mi accoglie con una delle tante battute che accompagneranno l’ora e mezza che passerò in questo posto fuori dal tempo. Mi propone subito un affare: il 15% degli incassi che verrano generati dall’articolo che scriverò. “Sarebbe bello se funzionasse davvero”, replico. Chiediamo a una ragazza in attesa se ha intenzione di entrare: sta aspettando degli amici, quindi, per adesso, la risposta è no. Il mio anfitrione chiude allora la porta alle mia spalle, non prima di aver fissato un cartello con l’orario della prossima visita: le 16.30.
Per prima cosa mi viene mostrato un oggetto; non ne capisco la funzione, eppure lo usiamo tutti i giorni, mi viene detto, almeno 20 volte al giorno, ed è presente in grande quantità in altre forme e dimensioni nella prima stanza. Alla fine del mio giro dovrò provare a indovinare di cosa si tratta, mentre la mia guida, nel frattempo, fa la lista delle migliori risposte sbagliate che ha avuto nel tempo, probabilmente per portarmi fuori strada.
Vlad Korneev, moscovita di quella che allora si chiamava URSS, arriva a Berlino a 21 anni, nel 1991, attraversando illegalmente il confine polacco-tedesco con un falso visto turistico. All’inizio fa qualche lavoretto in nero e riesce intanto ad ottenere un permesso definitivo per restare legalmente in Germania. Ha studiato fotografia e non ha particolari aspirazioni per i lavori manuali, decide così di dedicarsi alle sue immagini, arrivando, nel 2001, ad aprire una galleria, la Lichtbild Panoptikum.
Pubblica anche due libri di sue foto, ma si rende conto, col tempo, che l’unico modo per lavorare nell’arte è quello di impegnarsi duramente nelle pubbliche relazioni, cosa che non fa per lui. È in questo modo che si concentra su un nuovo progetto e, nel 2010, apre il Designpanoptikum, in Torstrasse 201, dove espone i pezzi che nel corso del tempo ha raccolto per i suoi progetti fotografici. Oggetti del passato, soprattutto, molti destinati al macero, cui restituisce non soltanto nuova vita, ma anche un significato filosofico, dedicando uno spazio a cose che avrebbero altrimenti perso il loro posto in questo mondo.
La mostra del Designpanoptikum è una collezione privata di oggetti industriali dell’ultimo secolo. Tutti i pezzi sono combinati fra loro ed è intenzionale il fatto di non aver utilizzato targhette con le descrizioni. Qui lo spettatore è invitato a usare la logica, la fantasia, a stimolare il pensiero creativo, non come nei musei nei quali “basta mettere su un’espressione intelligente e affermare: «capisco…»”, continua Vlad scherzando. Al Museo Surreale degli Oggetti Industriali tutto gira attorno alla domanda: “cosa è questo?”. Korneev vuole stimolare in modo giocoso il visitatore, portandolo a riflettere sui diversi livelli immaginari che possono avere gli oggetti esposti, che siano di uso comune o scientifico: la forma, l’interpretazione di chi li osserva, la loro funzione reale e quella storica.
In più, come si accennava poco sopra, si torna spesso sulla filosofia dell’oggetto medesimo, attraverso cui viene sviluppata un’interessante critica alla nostra società. È l’oggetto, secondo Vlad e nell’idea concettuale del Designpanoptikum, che rende la nostra vita migliore, perché è funzionale, perché è l’immagine di noi stessi con questo oggetto che ci aiuta a vivere meglio.
Mi viene mostrato, per esempio, il polmone d’acciaio originale che veniva utilizzato nel secolo scorso per tenere in vita i malati di poliomielite: Vlad mi spiega come funziona, come sono arrivati a concepirlo e che dopo la seconda guerra mondiale, per costruirlo, venivano usate parti dei sottomarini in disuso.
Il viaggio continua con un altro indovinello – quanto è durato il periodo più lungo in cui una persona ha vissuto dentro il polmone d’acciaio? – e una lunga critica alla società. “Perché invece di leggere Harry Potter, che descrive cose fantastiche, non ci interessiamo al mondo che ci circonda, che è mille volte più interessante delle idee creative di qualcun altro?”
E allora, riflettendoci, ci si può anche chiedere: quanto costava mantenere in vita una sola persona dentro il polmone d’acciaio? Quanta gente poteva, con quei soldi, essere salvata dalla fame nell’ex Unione Sovietica? Quanto costa la vita di una persona? In questo posto, insieme a Vlad, oggetto dopo oggetto, ci si interroga sul senso delle cose.
Mi rendo conto molto presto che la visita guidata è ben memorizzata in inglese, tedesco e russo, ed è difficile interromperla. Chiedo quante volte al giorno gli tocca ripeterla e se non si annoia. Mi risponde che esporla in tre lingue fa sì che non sia sempre lo stesso racconto. Vlad mi spiega che quando ha cominciato, 8 anni fa, non aveva molto da dire, ma che con il tempo le descrizioni e le riflessioni sono diventate più complesse e in costante evoluzione, stimolate dall’interazione col visitatore.
Proseguiamo con la discesa verso la cantina, dove si notano quelle che sembrano essere delle corde di un pianoforte e una vasca da bagno in acciaio inossidabile. Vlad fa suonare tre corde e sbatte una mano sulla vasca creando una serie di suoni che risultano in un’atmosfera inquietante. La vasca, mi spiega, veniva utilizzata per i cadaveri ed è stata messa in obliquo, fissata bene alle pareti, per poterci entrare dentro e farsi i selfie. Accanto c’è una traversa di un letto singolo con cui ci si può chiudere dentro la vasca, a mo’ di sbarre, e farsi delle foto. “Se metti il flash ottieni anche una Lichtexplosion, un effetto esplosivo di luce”, aggiunge.
Le foto appese alle pareti fanno parte della vita precedente da fotografo di Vlad. Me ne mostra alcune. L’orgoglio, che raffigura un grosso tamburo da cui escono due piedi da un lato e una testa dall’altro, con un’espressione idiota e a cui sono appese delle grosse palle di natale. Poi l’idealista, che ritrae un uomo nudo, piegato all’indietro e con appeso al collo un grosso martello. “Se non hai ideali vivi meglio, se no te li devi portare dietro come un peso. No?” dice nel suo marcato accento russo.
Mi mostra l’antica macchina fotografica che utilizzava un tempo: per lui, la foto analogica è un documento storico, un viaggio nel passato, come tutti gli oggetti della sua collezione. “Mentre la foto digitale la puoi vedere dopo 5 secondi e la puoi manipolare a piacimento, l’analogica la fai una volta, riproduci quel momento, e non la puoi più toccare. Tutto è passato dopo che l’hai sviluppata.”
Il Designpanoptikum ha anche una parte interattiva. Qui si possono indossare gli oggetti, fra cui si trovano un cappello giallo da giullare e un elmetto tedesco originale della prima guerra mondiale. Le due sporgenze al lato dell’elmetto erano state progettate per attaccarci una lastra in ferro spessa un centimetro, la Stirnpanzer Platte, che proteggeva i soldati dalle pallottole frontali. In realtà le lastre non andarono mai in produzione, perché da un lato c’era carenza di materia prima, dall’altro pesavano due chili e quindi erano sia scomode che, se pensiamo alla potenza con cui una pallottola impatta una lastra di ferro, inutili, visto che i soldati sarebbero morti non con un buco in testa, ma con il collo rotto dall’urto.
Rimango finalmente da sola, giro per le stanze e penso a cosa possano essere serviti alcuni degli strumenti che vedo intorno, mi chiedo come siano stati recuperati, che funzione diabolica possano aver avuto in passato.
Prima di andare, devo scoprire qual è l’oggetto che avevo visto all’entrata e che, secondo Vlad, usiamo decine di volte al giorno. Non riesco proprio a capire di cosa si tratti, nemmeno con un secondo indizio, così mi viene svelato l’arcano, con la gentile richiesta di non pubblicare la risposta finale.
Prima di andare voglio comprare una delle cartoline esposte sulle quali ha stampato alcune delle sue foto. Ne scelgo una a colori, che raffigura diverse cineprese e lui me ne regala altre due, in bianco e nero: l’orgoglio e l’Arschkarte. “Quest’ultima la dai al direttore”, aggiunge ridendo.
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