Sono le 3 di mattina al Porto Nuovo di Lampedusa. Da lontano si vedono sospese sull‘acqua soltanto le luci delle lanterne che illuminano le piccole imbarcazioni dei pescatori della domenica, a pochi metri dalla Cala Guitgia, sul lato di ponente. C’è un odore fermo nell’aria, come di pane bruciato. Lo scirocco è forte e il suo caldo porta a spasso la sabbia fra le insenature terrestri di Punta Parisi. L’isola dorme, con la calma irrequieta che solo un vento tiepido come questo riesce a rendere reale.
La motovedetta della Guardia Costiera si prepara ad uscire che già sono le 3.45. La segnalazione è arrivata una mezz’ora prima. Dalla capitaneria di porto hanno mandato l’allarme in caserma e in quindici minuti la truppa al completo è già al comando. Negli occhi dei ragazzi si intravede un’insofferenza nitida; non si capisce se dipenda dal fatto di essere stati svegliati, ancora una volta, nel cuore del buio, o se sia invece la rabbia per l’ennesima notte di fuoco e violenza in cui stanno per lanciarsi. “Sino ad appena sei mesi fa qui era un paradiso per questi marocchini – racconta l’ammiraglio Frotta – li andavamo a prendere in mezzo al mare, gli davamo una coperta, qualcosa da mangiare, un posto per dormire, assistenza medica. Poi li mettevamo nei Centri di Accoglienza, a spese dello Stato Italiano sia chiaro, vitto e alloggio di prima classe. Adesso, finalmente, abbiamo deciso di comportarci come si deve, da Paese civile e moderno: l’Europa ce lo chiedeva da anni.”
Ci imbarchiamo sulle motovedette veloci alle 4.10. Le imbarcazioni in uscita sono tre, una in più di quelle che venivano usate fino a poco tempo fa per le operazioni di ricerca e soccorso nelle acque del Mediterraneo: è anche questa un’altra delle novità introdotte dalla riforma Renzi-Salvini sull’ingaggio dei natanti che trasportano profughi e rifugiati in acque territoriali italiane. Insieme agli scafi della Marina salpano anche quattro gommoni del CAL, il gruppo dei Cittadini Armati per la Libertà che affianca le autorità militari nei compiti di controllo e respingimento dalle coste dell’isola. Nei primi sei mesi di operazioni il CAL ha dimostrato sul campo un’efficienza che non ha nulla da invidiare ai meglio addestrati corpi di polizia, con oltre 7.000 rifugiati “terminati”.
“Sai quanti ne ho presi io? Più di 400. Ovviamente non li ho potuti calare tutti direttamente in acqua perché la legge ci permette di farlo solo con i negri più grossi e più giovani, però almeno un centinaio adesso stanno sul fondo con le alghe grazie a queste mani qua”. Marino Brega comanda dal suo peschereccio “Marisa” le operazioni del gruppo CAL Liguria, distaccato in Sicilia subito dopo l’entrata in vigore della nuova normativa. Lo chiamano “le Braccia di Dio”. In appena quattro mesi Brega ha affogato 120 profughi, violentato nelle nuove Strutture di Stupro Temporaneo approntate sull’isola 28 giovani donne e venduto oltre 200 bambini ad ospedali e cliniche europee in necessità di organi per interventi di trapianto. “Ci tengo a dire che le donne erano tutte somale ed eritree” precisa mentre la sua imbarcazione segue a breve distanza la linea d’acqua solcata dai natanti militari.
L’oscurità è ancora totale, il mare praticamente immobile. Si sentono solo le voci dei militari che si scambiano ordini e rispondono ai comandi, mentre sui gommoni civili non vola una mosca: i ragazzi si concentrano per portare a termine il “salvataggio” nel migliore dei modi.
Quando raggiungiamo il battello dei migranti sono ormai quasi le 5: secondo le indicazioni della capitaneria di porto il loro motore è in avaria da almeno quattro ore. L’oscurità è ancora totale, il mare praticamente immobile. Si sentono solo le voci dei militari che si scambiano ordini e rispondono ai comandi, mentre sui gommoni civili non vola una mosca: i ragazzi si concentrano per portare a termine il “salvataggio” nel migliore dei modi. Siamo a 47 miglia dalla costa di Lampedusa. Il primo passaggio è il più semplice. Vengono recuperati innanzitutto le donne e i bambini e messi in salvo su una delle motovedette. Appena giunta sul ponte dell’imbarcazione militare, una ragazza dai grandi occhi neri abbraccia un ufficiale, gli bacia le mani e poi si inginocchia in segno di profonda gratitudine. In braccio ha un bambino di non più di sei o sette mesi; è stremata, eppure felice: ha appena raggiunto l’Europa, non il luogo in cui ha sempre sognato di vivere, ma l’unico posto nel quale poter stare, finalmente, al sicuro.
Dopo circa venti minuti anche l’ultima anziana signora, le labbra ormai prosciugate da quelle che a occhio croce saranno almeno 10 o 12 ore senza acqua, viene trasferita sulla barca della Marina Militare, che si allontana a tutta velocità verso il porto di Lampedusa. Lungo il tragitto tutte le donne di più di 45 anni verranno sgozzate e buttate in acqua. Per le ragazze più giovani invece la trafila è quella di sempre. Prima l’immatricolazione a fuoco con la bollatura sulla fronte del numero di arrivo, poi il trasferimento in una delle Strutture di Stupro Temporaneo, nelle quali rimarranno a disposizione di tutti i cittadini comunitari che abbiano voglia di farle divertire per un periodo di 120 giorni, prima di essere “rispedite a casa loro”, come spiegato nel testo legislativo approvato dal Parlamento Europeo e ratificato dagli Stati membri lo scorso febbraio. I minori di 18 anni in buone condizioni di salute saranno invece trasmessi immediatamente alle strutture ospedaliere richiedenti della UE per trasfusioni, trapianti e finalità mediche, mentre gli ammalati potranno essere utilizzati per esperimenti scientifici o venduti dal governo italiano alle grandi case farmaceutiche, così da portare avanti sperimentazioni e studi legati alla ricerca contro il cancro e altre malattie terminali.
“Ammiro molto l’Italia per quello che fa con i rifugiati – ha dichiarato recentemente il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, intervenendo alla plenaria del Comitato economico e sociale a Bruxelles in settembre – non si può pensare di lasciare solo all’Italia, alla Grecia, a Malta e a qualche altro paese la lotta sacrosanta contro l’immigrazione illegale. Bisognerà insistere, mentre l’Italia e gli altri paesi in prima linea continuano i loro sforzi”. Secondo le stime di IOM (International Organization for Migration) e UNHCR (United Nation High Commissioner for Refugees) sono quasi 1 milione e 500.000 i rifugiati arrivati in Europa nel 2015, mentre nei primi 9 mesi del 2016 gli arrivi sarebbero calati a circa 300.000 persone, 80.000 delle quali sbarcate sulle coste italiane: è anche questo il risultato della serie di riforme fortemente volute a livello comunitario dai governi europei.
L’intervento di pulizia definitiva sul barcone di migranti intercettato dalla Guardia Costiera inizia alle 5.45. Ormai sono rimasti soltanto gli uomini, un centinaio in tutto. I militari, coadiuvati dai membri del CAL, procedono in maniera rapida e scrupolosa. Una prima scarica di mitragliatrice elimina la fila di ragazzi che cercano di raggiungere la motovedetta, convinti di essere finalmente soccorsi. Fra i profughi si scatena subito il panico. Alcuni provano a nascondersi nella cabina di pilotaggio, la maggior parte invece si lancia in acqua, proprio lì dove i difensori del territorio europeo vogliono che tutto finisca. È in acqua infatti che il CAL entra in azione. Secondo le disposizioni comunitarie i Cittadini Armati per la Libertà non possono esplodere colpi, ma sono invece autorizzati ad affogare e lasciare annegare i migranti caduti in mare. Nel giro di pochi minuti anche gli ultimi uomini scompaiono per sempre fra le onde, andando a fare compagnia agli oltre 5.000 corpi che dal 2015 ad oggi, secondo le stime dell’UNHCR, giacciono anonimi sul fondale del Mar Mediterraneo, periti nel tentativo di raggiungere le coste siciliane. “Potenziali assassini, stupratori, ladri di appartamento, ben che vada gente che ci viene a rubare il lavoro: questi sono gli individui che abbiamo “terminato” oggi – confida un soddisfatto Brega durante il rientro verso il molo di Cala Pisana – io non sono mai stato un uomo violento, ma giusto, quello che noi cittadini vogliamo è giustizia, tutto qui. Io, con i ragazzi del CAL, sto cercando di costruire un mondo migliore per i miei figli, nel quale stare in pace e sereni, ognuno a casa propria.
Ad attendere le imbarcazioni, una volta arrivati al porto, ci sono decine di uomini e donne giunti da tutta Europa per sostenere attivamente il nuovo programma di salvataggio varato dalla UE. Si distinguono per il grande senso civico e lo straordinario afflato di coraggio comunitario con il quale hanno deciso di appoggiare le nuove politiche di Bruxelles in materia di migrazione. Dalle borse spuntano panini al prosciutto, coperte termiche, tazze ricolme di té bollente, per rinfrancare i paladini di ritorno dal mare. Una comunità di cittadini che già dalle prime ore del giorno sosta sulle banchine per portare un sostegno concreto a chi cerca, con determinazione, di salvaguardare la storia, le radici, il futuro, del nostro paese, del nostro continente.
Gente semplice, gente di cuore: come ognuno di noi.
REDAZIONE
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