Domenica 8 Maggio 2016, sono più o meno le due del pomeriggio. Allo stadio Karl-Liebknecht di Potsdam sta per iniziare l’ultima partita casalinga della squadra femminile locale, l’ 1.FCC Turbine Potsdam. Ci sono molte più persone del solito a riempire le gradinate: c’è aria di festa, ma anche la malinconia di un’epoca che si sta avviando alla sua conclusione.
Dal tunnel degli spogliatoi escono le due squadre e, di seguito, gli allenatori. Un uomo anziano, molto alto e col viso severo percorre, pochi passi e si siede sulla panchina. Tutti si aspettano una dichiarazione, ma lui cordialmente rifiuta e fa leggere poche brevi righe ad un collaboratore: “Non siamo qui per me, ma per la squadra. Lo stadio deve rimanere con le ragazze, l’attenzione sulla partita.”
È l’ultima volta in panchina di Bernd Schröder, da 41 anni quasi ininterrotti allenatore del Turbine, nonché suo fondatore. Nessuno può sapere a cosa stia pensando: la faccia è impassibile, le indicazioni alle giocatrici sono continue. Di tempo per i ricordi ce ne sarà dopo. Durante i novanta minuti, come sempre, viene prima il Turbine.
L’arbitro fischia l’inizio, si comincia.
È il 1971, la Germania è divisa, Berlino è un rebus politico irrisolto, separato da un muro di cemento. A poche decine di chilometri da Alexanderplatz c’è Potsdam, città dal passato glorioso (gli imperatori prussiani amavano svernare e divertirsi nei suoi parchi e sulle rive dei suoi laghi) e dal presente operaio. La DDR ha deciso di fondare lì la VEB, società di approvvigionamento elettrico. Come quasi ogni azienda della Germania Est, anche la VEB ha la sua società sportiva: produrre energia è importante, ma la cura del fisico ancora di più. La squadra maschile di calcio è attiva già dal 1955, ma di gloria all’azienda ne sta portando pochissima: scarsi risultati e un interesse poco più che amatoriale al calcio non sono gli ingredienti migliori per costruire successi. Gli sfottò all’interno della VEB si sprecano, anche da parte delle operaie che cominciano ad azzardare dei: “Faremmo sicuramente meglio giocando noi piuttosto che loro!”.
Una “mano ignota” decide di prendere sul serio la provocazione e durante le festività natalizie qualcuno pubblica sulla bacheca dell’azienda il seguente annuncio: “Fondazione squadra di calcio femminile. Per favore iscriversi. 3 Marzo 1971 alle ore 18 presso la sede del club Walter Juncker.”
Bernd Schröder lavora presso la VEB come caporeparto. Negli anni ’60 è stato portiere nella squadra riserve dell’1.FC Lok Leipzig, ma ha abbandonato il calcio giocato già da tempo; l’annuncio sulla bacheca non gli sfugge e decide di partecipare alla riunione del 3 Marzo, in verità più interessato al buffet che all’aspetto sportivo della faccenda.
Due mesi dopo Schröder uscirà da quella riunione con la pancia piena e il nuovo incarico di allenatore della sezione calcio femminile del Turbine Potsdam. Quando si dice “decidere di pancia”. A distanza di molti anni ammetterà di non ricordare minimamente come sia avvenuta la sua nomina.
I primi anni del Turbine sono complicati: nella DDR non c’è un campionato di calcio femminile, le partite sono contro altre squadre femminili regionali e il livello è basso. A complicare le cose c’è la mancanza di fondi da investire nella squadra, ma Schröder non si perde d’animo e cerca di trovare nuove giocatrici tra le ragazze scartate nei test di atletica leggera. In assenza di talento naturale, il calcio è uno sport che si può insegnare.
Il primo vero campionato di calcio femminile della Germania Est è nel 1979 e per due anni il Turbine non riesce a qualificarsi. Nel 1981 partecipa per la prima volta e vince subito; così sarà anche nel 1982 e ’83. Anche quando non vince, il Turbine ci arriva vicino: due secondi posti e tre terze posizioni fino al 1991, anno dell’ultimo campionato della Germania divisa. I titoli totali collezionati dalla squadra di Schröder nella DDR Oberliga saranno 6 in dodici anni.
Durante gli anni vittoriosi nel campionato dell’Est, il Turbine viene anche invitato a tornei internazionali, ma il SED (il partito socialista della DDR) ostacola le partecipazioni impedendo alla squadra, non solo i viaggi in Europa occidentale, ma anche la partecipazione a tornei in altri paesi del Patto di Varsavia qualora altre squadre partecipanti provengano da paesi della NATO. L’unico modo per Schröder di evitare alle sue ragazze un isolamento dorato è quello di imbrogliare: al primo invito ricevuto prega gli organizzatori di mentire sulla provenienza delle altre squadre; al secondo agisce in prima persona, falsificando la lista dei partecipanti. Il Turbine la fa franca, ma paga l’insubordinazione a caro prezzo con un divieto di espatrio a tempo indeterminato. A revocarlo ci penserà direttamente la storia: nel 1989 cade il Muro di Berlino e l’intero sistema sportivo tedesco viene riformato.
26 minuti di partita sono già volati. Il Wolfsburg, l’avversario del Turbine, è secondo in classifica e ha già dimostrato di essere pericoloso. La squadra di Potsdam però gioca tranquilla, parte spesso in attacco e conquista calci d’angolo a ripetizione. Al 27° l’ennesimo tiro dalla bandierina: dopo un colpo di testa in area la palla arriva all’attaccante Svenja Huth. Spalle alla porta, riesce a girarsi e a toccare il pallone con la punta del piede. Il tiro è fiacco ma il portiere del Wolfsburg si fa scivolare il pallone fra le mani. Rete, 1-0 e tredicesimo gol in campionato per la Huth.
I primi anni ’90 continuano fra le difficoltà: per due anni consecutivi il Turbine fallisce la promozione nella neonata Bundesliga femminile. Lo stesso Schröder fa un passo indietro, lasciando la panchina ad altri allenatori per diventare manager della squadra. Le casse della società sono spesso vuote, le trasferte diventano sforzi economici quasi insostenibili, di investimenti esterni nemmeno a parlarne. Molte calciatrici sono addirittura licenziate nel tentativo di far quadrare i conti.
Nella desolazione economica arriva un lampo di luce: il campionato 1993/94 è quello giusto e finalmente il Turbine ottiene la promozione, abbandonando la Regionalliga dove non rimetterà mai più piede.
L’impatto col campionato maggiore è devastante. La prima di campionato in Bundesliga Nord finisce con un umiliante 0-11 subìto in casa dal FC Rumeln-Kaldenhausen. L’umiliazione è ancora maggiore per i tifosi, che iniziano a rimpiangere i tempi della DDR, quando il Turbine non aveva mai perso una partita ufficiale sul proprio campo. Molte della partite successive portano altre sconfitte; dai festeggiamenti per la promozione all’incubo di una nuova retrocessione sono passati solo pochi mesi. Il 20 Novembre 1994 la quadra gioca una partita importantissima sul campo dell’ FC Eintracht Rheine: l’allenatore Frank Lange rischia il posto, più per volere dei tifosi che per reale convinzione di Schröder. Il manager decide quindi di “muovere a compassione” l’allenatore della squadra avversaria: in una chiacchierata informale, Schröder gli confessa che se il Turbine dovesse perdere sarà costretto a licenziare Lange.
Qualcosa va storto: la squadra di Potsdam viene sconfitta e Schröder è costretto ad esonerare Lange durante la conferenza stampa, davanti a una folla di giornalisti desiderosi di festeggiare il licenziamento dell’allenatore. Per i mesi successivi il Turbine viene affidato a Sabine Seidel, ex giocatrice della squadra di Potsdam. Nel disperato tentativo di salvarsi vengono anche tesserate tre calciatrici provenienti dalla Russia, fra le prime straniere in assoluto a giocare nel campionato femminile tedesco; dal lato sportivo il loro aiuto contribuirà ad evitare al Turbine la retrocessione, da quello umano si rivela un disastro: le tre russe rifiutano di integrarsi, litigano con le compagne e decidono di tornarsene in patria alla fine del campionato.
Dopo due anni di piazzamenti senza gloria, nel campionato 1996/97 il Turbine ottiene una nuova promozione nella Bundesliga femminile unificata (fino a quel momento era divisa in gironi in base alle zone geografiche: la riunificazione di un paese non è facile e la schizofrenia dei suoi campionati calcistici ne è l’evidente dimostrazione). Parte del merito è dell’allenatore Lothar Müller: oltre alle sue capacità sportive, la sua presenza sulla panchina serve da richiamo per alcune calciatrici provenienti dall’ex Berlino Ovest che, fino a quel momento, avevano sempre snobbato l’ex squadra della DDR. Nonostante i buoni risultati generali, per Müller è fatale un solo errore: Il Turbine perde la semifinale di DFB Pokal (la Coppa di Germania) e la sua panchina, sorprendentemente, salta. Fare l’allenatore a Potsdam si rivela, ancora una volta, un mestiere per gente col pelo sullo stomaco.
Fine primo tempo. Il Turbine va negli spogliatoi in vantaggio per 1-0. Al rientro in campo Bernd Schröder fa un cambio in attacco: fuori l’italiana Ilaria Mauro, dentro la giovane Laura Lindner. Dopo solo dieci minuti di gioco la sostituzione dà già i suoi frutti: passaggio lungo da circa 40 metri da parte di Felicitas Rauch verso l’area di rigore, Tabea Kemme crossa al volo al centro, la Lindner controlla il pallone e calcia in rete. 2-0, la partita comincia a prendere la giusta direzione per il Turbine.
La Bundesliga 1997/98 vede Eckhard Düwiger sedersi sulla panchina della squadra. Fra i nuovi arrivi brilla la giocatrice della nazionale tedesca Ariane Hingst, non convintissima del trasferimento a Potsdam ma invogliata dalla possibilità, giocando con continuità, di conquistarsi un posto stabile fra le titolari della Frauen-Nationalmannschaft, la nazionale di calcio femmile. I primi mesi della Hingst sono una delusione: la ragazza fatica ad integrarsi e si isola progressivamente dal resto delle compagne fino a diventare quasi un corpo estraneo all’interno della squadra. La svolta però arriva nella maniera più impensabile. Lo sponsor principale del Turbine fallisce e la società, non potendosi più permettere il suo stipendio, licenzia Düwiger. Quello che potrebbe essere il tracollo si rivela però un momento decisivo. Sulla panchina torna un Bernd Schröder più agguerrito che mai. Sua è la decisione di recuperare Ariane Hingst dall’apatia costringendola alla panchina in molte occasioni e stimolandola ad esprimere il meglio di sé; dal suo ritorno fra le titolari, non si arrenderà più: 160 presenze e 53 gol totali saranno il suo contributo decisivo alle future vittorie del Turbine.
A rafforzare ulteriormente lo scheletro della squadra che conquisterà trofei a ripetizione da lì a pochi anni, a metà stagione torna dal prestito al TuS Niederkirchen l’attaccante Conny Pohlers.
Il 1 Aprile 1999 è un punto di svolta per il Turbine: la squadra femminile si distacca dalla società sportiva da cui era nata e diventa autonoma. Il nuovo nome della squadra è 1.FFC Turbine Potsdam.
I primi anni duemila segnano l’ultimo gradino di crescita: alcune giocatrici vengono promosse dalle giovanili (come Viola Odebrecht), altre arrivano a rinforzare il Turbine da altre squadre; è il caso di Nadine Angerer, dell’attaccante Petra Wimbersky, di Navina Omilade e della talentuosa Anja Mittag, che aiutano la squadra a raggiungere una serie consecutiva di tre secondi posti in campionato.
La Pohlers si rivela una schiacciasassi dell’area di rigore, segna gol a ripetizione e incrementa di anno in anno il suo bottino fino alla vittoria del titolo di cannoniera della Bundesliga (con 27 reti) nella stagione 2001/02. La “cura Schröder” funziona, il Turbine gioca un ottimo calcio, le prestazioni migliorano e il pubblico demotivato dagli scarsi risultati delle stagioni precedenti ricomincia a frequentare lo Stadio Karl-Liebknecht. Il 15 Giugno 2003 il numero di spettatori fa registrare il record di tutti i tempi per la Bundesliga femminile: 7900 spettatori affollano le tribune per la partita contro l’ 1.FFC Frankfurt, da sempre acerrima rivale del Turbine.
Dopo il secondo gol emerge l’evidenza: si tratta di una partita di fine stagione, è un giorno particolare per il Turbine ed entrambe le squadre hanno già salda la loro posizione in classifica. Il Wolfsburg è secondo, il Turbine settimo, senza più niente da chiedere al campionato. Nonostante tutto, in questa partita è la squadra di Potsdam a macinare gioco e ad insistere in attacco. Al 64° minuto nuova discesa sulla fascia destra di Tabea Kemme, dribbling secco alle spese di un difensore del Wolfsburg e ancora cross a tagliare l’area di rigore. Arriva in corsa la Lindner che di sinistro appoggia in porta. 3-0 per il Turbine.
Il processo di crescita si conclude. Nella stagione 2003/04 la squadra di Schröder passa di vittoria in vittoria. Le giocatrici di punta del Turbine sono perni della Frauen-Nationalmannschaft (che si è appena laureata Campione del Mondo) e si trovano a memoria sul campo, mettendo a segno ben 96 reti. La stagione finisce in trionfo: vittoria del campionato e della Coppa di Germania. Sono i primi trofei del Turbine dai tempi della Germania divisa, e non saranno gli ultimi.
La stagione successiva regala altri successi in patria (la seconda Coppa di Germania), ma soprattutto in Europa è una cavalcata vittoriosa. La squadra raggiunge la finale della Coppa dei Campioni femminile e vince battendo le svedesi del Djurgårdens IF/Älvsjö.
Nelle stagioni seguenti alcune delle artefici del primo ciclo di vittorie del Turbine salutano Potsdam: è il caso della Hingst, dell’implacabile Pohlers, della Omilade e della Wimbersky. Bernd Schröder non si spaventa e lancia in prima squadra le giovani calciatrici della squadra juniores. Nemmeno a dubitarne, anche stavolta la sua si rivela una scelta azzeccata e la squadra ricomincia a vincere senza accusare il colpo. Fino al 2013 (con la sola eccezione della stagione 2006/07) il Turbine vincerà almeno un trofeo all’anno. Il Palmares della squadra alla fine del ciclo è impressionante: 6 campionati tedeschi, 3 Coppe di Germania e 2 Coppe dei Campioni (più altre due finali perse).
La partita è di fatto finita dopo il terzo gol, ma la squadra di casa sembra ancora cercare un risultato più rotondo per salutare Schröder in grande stile. All’83° le azioni d’attacco danno i loro frutti: Felicitas Rauch, una delle migliori in campo (e fra le migliori giocatrici della stagione) riceve il pallone al limite dell’aerea avversaria, supera in velocità un difensore del Wolfsburg e segna con un tunnel sotto le gambe del portiere già seduto, impotente. Il 4-0 è sufficiente, i pochi minuti che mancano alla fine della partita sono solo di attesa per la festa che tutto lo stadio aspetta. Il momento di Bernd Schröder arriva solo quando l’ultima delle sue giocatrici è uscita dal campo. Solo a quel punto accetta, in maniera schiva e non senza imbarazzo, di ricevere attestati, premi e affetto dalla città di Potsdam e dal suo pubblico.
Gli addii al calcio di allenatori così grandi e così vincenti non sono mai facili da assimilare per nessuna squadra e di qualsiasi livello. Gli esempi più eclatanti sono quelli di Alex Ferguson (alla guida del Manchester United per ventisei anni) e, soprattutto di Guy Roux, allenatore dell’Auxerre per quarantaquattro anni quasi ininterrotti, partito dalle serie minori e vincitore della Ligue1 francese nel 1996. Sia lo United che l’Auxerre, dopo l’addio dei loro maestri, hanno passato o stanno tuttora passando stagioni di triste anonimato sportivo. Il calcio può anche apparire sempre più veloce e schizofrenico, ma l’impronta che un allenatore riesce a dare alla squadra e all’ambiente circostante non è una cosa dalla quale ci si libera in poco tempo.
È proprio a quella di Roux che si può paragonare la carriera di Schröder al Turbine: non un semplice allenatore ma una figura sempre presente nelle decisioni e in ogni momento di difficoltà della società e della squadra. Finita la festa e spenti i riflettori sulla carriera del suo storico allenatore, cosa rimane al Turbine Potsdam? In realtà moltissimo: uno dei settori giovanili femminili più sviluppati di tutta Germania, una base di giocatrici di talento (da Svenja Huth a Felicitas Rauch, passando per il capitano Lia Wälti, i terzini Kemme e Siwinska, la giovane Laura Lindner e il portiere Lisa Schmitz) e una società forte, abituata alle vittorie e che sicuramente non vorrà attendere molti anni prima di vincere ancora. Ai tanti tifosi del Turbine servirà solo un po’ di pazienza nei confronti di chi verrà dopo Schröder, ereditando una responsabilità enorme. In fin dei conti, quando tutto è cominciato, il Turbine era una squadra allenata da un caporeparto che doveva solo far meglio dei colleghi maschi.
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in copertina: © deutscher fussbal-bund
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