Non sono mai stato così felice di lasciare Berlino. Solitamente odio questo turismo da due notti fuori porta tutto consumismo, ma appena in treno già inizio a sentire i benefici del viaggio. Tutto è nuovo, tutto è più piacevole. L’aria che respiro sembra avere meno peso, una pressione atmosferica più leggera grava sul mio cervello. Forse tutti i popoli nomadi sono più felici. La mia attenzione magicamente inizia a focalizzarsi solo sulle circostanze positive; quelle spiacevoli, che di solito mi circondano, perdono di attrattiva, quasi non esistono.
Il treno per Brema parte e con lui riesco a lasciarmi dietro il grigiume. Libero, felice, spensierato. Due signore argentine sui sedili vicino mi fanno sentire a casa, la latinità chiaccherina mi contagia. Bambini corrono felici su e giù per il vagone: uno ha le scarpe con le luci che si accendono a ogni passo e mi ricordano me da piccolo: sono comunque io il più felice del treno.
Di Brema non so nulla. Una vocina dentro mi ricorda l’esistenza di una favola dei Grimm sui musicanti di Brema e, senza conoscerla, me la rido. Solitamente vado così a zonzo per il mondo, quasi senza informarmi. Questa volta invece il Bremer Touristik-Zentrale (l’ufficio per il Turismo di Brema) ha organizzato per me la vera esperienza della vacanza tipo: stanza d’albergo con colazione, visita guidata, ingressi museali, carta dei mezzi, programma serale. Appena arrivati in stazione già ci accorgiamo che si respira un’aria rilassata: le persone sembrano più normali, aperte, solari. Nessuno schnauzer berlinese, nessun hipster troppo cool vestito a lutto. Colori e persone mettono allegria. L’effetto estatico della vacanza continua implacabile. Due signore africane fermano una signora tedesca per chiederle dove abbia comprato quella bella collana turchese. Si intrattengono a parlare, ridono già amiche.
All’ufficio turistico ci aspettano una simpatica borsa di tela, i nostri biglietti e, soprattutto, caramelle gommose a forma di musicanti di Brema! Mentre aspetto il tram, da bravo turista felice, mi viene subito voglia di spendere in gadget: 1 euro per degli stuoini estivi, potrebbero servire. Fattura pessima, si romperebbero dopo neanche 1 minuto, come la borsa di tela già scucita, quindi alla fine non li compro ma, felice del mio euro risparmiato, continuo a sorridere, ancora di più.
Arriviamo allo Steigenberger Hotel, adagiato sulla riva del Weser, tra fiori e prati. Tutto è perfetto. La stanza si affaccia sul panorama, come una nave di piacere. All’ultimo piano ci aspetta la Spa con vista panoramica. Dalla sauna finlandese, godendo la vista, i miei occhi si fermano proprio su un barbone che vive sotto il ponte della ferrovia, ma decido di non pensarci: sono felice, sono turista, mi godo il lusso.
Mentre aspetto l’appuntamento con la guida vago per il centro: tutto è luminoso. La piazza centrale, anche di giovedì, sembra sempre in festa, tra bancarelle, mercatini, artisti di strada, eventi sportivi, concerti e un carosello di manifestazioni. Spinto dalla sete di turismo entro nel Duomo: del gusto protestante tedesco per il restauro ripulito, che non lascia traccia dell’antico e che solitamente mi nausea, apprezzo ora l’effetto di pacificante pienezza. Positivista, razionale, fatto per non sconvolgere, ma per essere ben utilizzato, a beneficio dell’uomo borghese e del welfare. Mi confondo con i turisti, beato.
La mia guida è un’esilarante piacevolissima signora toscana di nome Beatrice [ http://www.guidi.de/ ]. Ha un maglioncino colorato sulle spalle e un sorriso che mi fa venire voglia di abbracciarla appena la sento parlare. Mi porta in giro ovunque, tra i segreti della città e della storia di Brema. Quasi di nascosto mi fa sbirciare nelle meraviglie quattrocentesche della sbalorditiva sala lignea del municipio vecchio, fino alla magica Güldenkammer, dai dorati ricami art noveau 1905. Le ossa di una gigantesca balena spiaggiatasi a Bremen Hafen nel maggio del 1609 si mischiano ai marmi del gabinetto imperiale e ai modelli di navi in scala 1:12 dai cannoncini funzionanti (riproducono le navi da guerra che scortavano i commercianti della lega asiatica). Scopro che non avevo torto sul Duomo, che Brema è una città votata tutta agli ideali liberisti del commercio. Nel 787 d.C. Carlo Magno vuole qui convertire al cattolicesimo i sassoni, che venerano invece lo spirito di una quercia millenaria. Il simbolo della città, il paladino Roland (da romanzo cavalleresco), protegge il motto di liberazione dal vescovo, quando Ottone II imperatore concede il diritto al mercato libero: che qui si facciano loro i prezzi, invece di sottostare alla Chiesa.
Forse sono io, forse è Beatrice, ma tre ore di visita sembrano passare in un lampo. Mi chiede se voglio toccare gli zoccoli portafortuna della statua ai musicanti ed esprimere un desiderio; ci penso e rispondo che no, grazie, non ho nulla di più da desiderare. Ascolto ogni storia con emozione e coinvolgimento. Mi faccio trascinare su e giù per le vie del centro in un frastuono di rivelazioni e sorprese. Rientro nel Duomo con lei e mi rendo conto di quante cose non avevo notato, quanto una guida fa la differenza. Scopro che la città ha una storia di miracolosa provvidenza: il magnifico quartiere dello Schnoor doveva essere buttato giù negli anni ’70 per costruirci un parcheggio multipiano; la stupefacente e bizzarrissima Böttcherstraße demolita perché considerata da Hitler esempio di arte degenerata. Alla guida il compito di raccontare la storia di questa strada, delle due vecchiette e del mecenate che ne permisero la costruzione, dell’incredibile carillon girevole dalle ben 34 campane di porcellana, anche questo tutto votato alla venerazione del commercio.
Saluto Beatrice con un lungo abbraccio, ormai diventati amici di una vita. Rientrando respiro ancora per un po’ l’aria della Brema di un tempo, degli artisti di Worpswede, dei capitani di nave e dei pionieri del volo. Se per un secondo tornano i pensieri della vita quotidiana e di ciò che mi aspetterà al ritorno, mi basta tirare fuori una mappa per riacquistare subito il magico spensierato superpotere del turista. Anche quando mi accorgo che la mia fotocamera ha deciso all’improvviso di smettere di funzionare, anche quando sbaglio tram, anche quando inizia a piovigginare, io non perdo lo smalto e il buonumore, ma resto felice.
Torno in albergo per la serata che mi aspetta al GOP Varieté-Theater: “WET- the show”. Una sala che sembra d’altri tempi, con i tavolini sotto al palco dove si beve e chiacchiera durante l’esibizione: un varietà tra circo, giocolieri, acrobati, danza, esibizioni, musica e comicità. Ipnotizzato più di un bambino davanti alla magia, mi godo senza pensare questo spettacolo come un inno alla vitalità, un omaggio ai piaceri della vita, dove anche il kitsch è senza pretese, scoppiettante e brioso. Quando si riaccendono le luci ho la bavetta al lato della bocca e un sorriso ebete. Il cameriere mi porge un biglietto della lotteria come a tutti gli altri spettatori: solo che il mio è vincente. La felicità porta felicità. Vincita: un enorme sconto su un ingresso al teatro. Ma sono già troppo contento: decido di lasciarlo sul tavolo insieme alla mancia.
Mi sveglio fresco e riposato come mi sembra di non essere mai stato, pronto per una giornata di musei. Un 30 minuti di tram e sono in mezzo al verde del giardino botanico. Lì vicino visito l’organizzatissimo Focke Museum sulla storia di Brema, dove ogni cosa è valorizzata in un ordine impeccabile. E’ mattina, siamo i soli visitatori, l’unico rumore le nostre guide interattive appese al collo, che ci portano di vetrina in vetrina ad ispezionare ogni singolo ricordo della città. Al piano superiore arriva la colorata Sonderausstellung “Oh Yeah!”, esposizione temporanea sulla musica pop in Germania dagli anni ’20 ad oggi. Balliamo cantiamo e ridiamo come degli scemi, e l’allegria contagiosa del turista sembra invadere anche la maschera. Così come anche nel pomeriggio al nuovissimo Universum Bremen, museo della scienza e della tecnologia: giochiamo con ogni attrezzo, proviamo ogni esperimento, ci sbizzarriamo in ogni possibilità del museo. Scomponiamo, ricomponiamo, ci stupiamo del corpo e del mondo. Scopro ad esempio che anche se tutti fossimo vegani, se non utilizzassimo mai né macchina né aerei, se vivessimo in case piccole e consumassimo quasi niente, comunque consumeremmo una volta e mezzo le risorse del pianeta; eppure anche questo, in quest’euforia incontrollata, non riesce a frenarmi. Io e la mia compagna sembriamo veramente due ragazzini drogati di festa; le mascelle e la milza mi fanno male dal gran ridere, i piedi sobbalzano e saltellano, estrosi ed esuberanti, tra un piano e l’altro senza posa, e così allo shop del museo e nel parco per bambini antistante, dove continuiamo a giocare interattivamente scoprendo nuovi segreti che la scienza finora non ci aveva rivelato: sovreccitati saliamo sul tram che ci porterà al “Das Viertel”.
A pranzo alla Bremen Rathskeller avevamo goduto squisitezze agli asparagi assieme alla simpatica Sonja Hackmann dell’ufficio del turismo di Brema. La nostra euforia contagia il cameriere, che vedo ballare in un angolo. Tra le chiacchiere, il buon vino e il buon cibo, ci aveva invitato a spendere la serata nel quartiere della vita giovane e mondana di Brema, dove si raccolgono tutti i bar e i caffè più cool. Il “Viertel” è giusto dopo il canale, fuori da quelle che una volta erano le mura della città. La strada centrale, piena di negozietti, ristoranti e locali, è circondata da incantevoli stradine tranquille, da giardini privati e case basse. Si vede il cielo, le strade sono larghe, il tramonto ci avvolge nella sua magia. Cenetta a lume di candela, birre artigianali, ritmi trendy, e poi di nuovo in camera per una serata perfetta.
Mattina di partenza, ma posso lasciare l’albergo alle 12 e fare colazione fino alle 11. Scendo giù radioso, in pantaloncini da camera e maglietta. Il fiume scorre placido e il sole riscalda. Guardiamo le coppie di anziani e la mia ragazza mi chiede se tra quarant’anni saremo così: rispondo che non lo so, ma sicuramente sarò felice. Mentre mi servo al buffet con un dito assaggio la mostarda di fichi e inizio a gonfiarmi di gioia. Con gli occhi brillanti di pura euforia continuo a dilatarmi, poi una risata estatica mi si strozza in gola e di botto esplodo. I miei brandelli si spargono sui clienti dell’albergo, sulle loro stoviglie, sulle cameriere e sui vetri appena puliti. Educatamente e con maestria il personale rassetta e porta via i miei resti. Solo una lacrima di gioia, invisibile, finisce per errore nell’omelette che lo chef sta preparando.
Herr Udo von Müller, ospite della stanza 603, si appresta a far colazione. Omelette. Dopo il primo boccone inizia a sentirsi anche lui stranamente felice; i suoi piedi iniziano a tamburellare come una danza e lentamente comincia a gonfiarsi, sopraffatto da un dolce attacco di risa. Gli inservienti dell’albergo sono evidentemente abituati alla sindrome dei vacanzieri: con estrema professionalità si preparano senza scomporsi all’ennesima gioiosa esplosione.
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