Ho appena messo piede in piazza. È buio pesto alle 6 di giovedì pomeriggio. Faccio un giro completo solo per guardarmi intorno. All’angolo tra la Krossnertraße e la Gabriel-Max-Straße, nel quartiere di Friedrichshain, nel cuore di quella che una volta era Berlino Est, una ragazza fuma fuori ad un locale, in pausa dal turno di lavoro. Mi avvicino. Il posto all’interno è poco più illuminato della strada, in quel momento semi vuoto: seguo la barista mentre rientra per tornare al bancone.
Mi dice che il bar è lì da 18 anni, il proprietario è originario della Turchia, ma non conosce molto della sua storia, e neanche il ragazzo che lavora con lei, anche lui molto giovane, la pelle olivastra tesa in un sorriso. Entrambi assunti pochi mesi fa, dicono che da lì ci passano molti turisti, persone da tutto il mondo, “non sempre sono clienti facili”. L’uomo che sedeva al tavolo con il proprietario del bar va via: mi posso avvicinare. Il suo nome è Aydin, è a Berlino dal 1980 e dentro questo posto ha fatto tutto da solo. Prima di lui era in affitto, ci abitavano. “Friedrichshain, è un bel quartiere oggi, ma ogni anno che passa l’attività peggiora, la gastronomia è cambiata”, ci sono sempre più locali, posti alla moda, e molti turisti. Diciotto anni fa c’era comunque molta gente, diversi locali “ma forse il concetto era diverso”. Il suo bar un tempo si riempiva dei clienti fissi, per lo più cordiali berlinesi “ora gli ospiti cambiano sempre, bevono, parlano ad alta voce e spesso passano solo per un caffè”.
Nomina i tempi della DDR, “non so dire se era meglio o peggio di adesso, ma si stava bene, si era tutti uguali, niente ricchi e niente poveri, tutti lavoravano e nessuno era disoccupato. La differenza è che non c’era libertà, e questa è la migliore cosa di adesso, la libertà”. Gli chiedo quanto paga di affitto e mi dice che sono affari suoi: “né troppo né poco, ma di sicuro non scende, va sempre ad aumentare”.
Qualche volte si scambiava favori con il locale all’angolo opposto della strada, poteva capitare che in cucina mancasse qualcosa, bastava uscire e chiedere al vicino. Adesso pare che quel posto abbia cambiato gestione, “l’aspetto è diverso”. Vado a vedere. Quando entro mi trovo davanti diversi clienti, impegnati a consumare un pasto esotico, mi sembra asiatico. Non vengo presa molto in considerazione, qui vanno tutti di fretta. Mi dicono che il proprietario non c’è e che hanno da fare. Vado via. “Ritornerò”, mi dico. Ma non succederà.
Ho appena messo piede in piazza. Attaccata addosso, un’aurea gelida che mi segue già da un po’. Il piazzale è nascosto dalle bancarelle, c’è poca gente in giro. Attirata dal tepore di un’immagine, mi avvicino al furgoncino del caffè. Mi inserisco in una breve fila e osservo il ragazzo biondo dietro al bancone lavorare con calma. Mi sorride: il caffè è buono. Mentre mi allontano, mi desta una voce dalla bancarella accanto, un dialetto italiano del sud che descrive il sapore di qualcosa. Oggi è sabato, per lo più sui banchi viene esposto cibo: un’offerta culinaria dal mondo. Mi ha sempre stupito la varietà di patate che vende uno dei mercanti che ho sempre visto qui negli anni, credo sia fisso a Boxhagener Platz. Arrivo all’angolo dove c’è il chiosco del bar ed entro. Trovo una donna bionda e un ragazzo alto e magrissimo, impegnato con la macchina del caffè. Lei si chiama Rike, è di Berlino e lavora in quel posto dal 2010. Il bar ha aperto la prima volta nel 2002, l’associazione KARUNA ne ha fatto un progetto di aiuto per bambini e giovani in difficoltà. Ci mandano a lavorare i ragazzi tra i 14 e i 27 anni, che per qualche motivo sono chiamati ai lavori sociali. Tutti vengono coinvolti nei vari processi dell’attività, sperimentano e apprezzano il loro contributo personale alla società, spesso per la prima volta.
Quando chiedo a Rike com’è cambiato Friedrichshain nel tempo, lei risponde “es gab die Gentrifizierung”: c’è stata la gentrificazione. Da alcuni anni i residenti sono diversi, per strada si vedono giovani famiglie, ragazzi, “gente che dieci anni fa non c’era”.
La piazza appariva grigia per via dei palazzi, soprattutto in inverno. “Dieci, quindici anni fa, erano edifici decadenti, negli ultimi tempi invece è cambiato tutto, guardando ai tempi della DDR, oggi questo sembra un altro posto”.
Le persone che frequentano il mercato adesso “hanno più soldi, mentre i berlinesi cresciuti qui non ci sono più. Persone anziane non se ne vedono, gli abitanti del posto erano i lavoratori dell’Est, così li posso descrivere, Die normale Menschen”. Gente Normale. Gente che i prezzi degli affitti di questa zona oggi non se li può più permettere.
“Manifestazioni, sì, ce n’erano” le persone erano più attive politicamente, per il primo maggio in Boxaghener Platz ce n’era sempre una piuttosto aggressiva, “es war ganz schlimm”. La polizia sbarrava tutta la piazza, la protesta era animata. A volte le persone si accampavano sul prato con le tende, poi arrivava l’Ordnungsamt e li faceva smontare, ma dopo un’ora erano di nuovo li. Oggi, per lo più, la dimostrazione si è spostata a Kreuzberg e di polizia non se ne vede.
“Se vuoi mangiare, trovi qualsiasi cosa, ci sono molti locali, alcuni sono qui già da un po’, altre attività cambiano di continuo gestore, fanno dentro e fuori, fuori e dentro. L’ultimo che ricordo che ha chiuso, era una vecchia Kneipe , non ne so il motivo, forse non aveva più i suoi clienti”. È capitato già diverse volte, che qualcuno entrasse perché interessato a comprare il locale. “C’è stato anche chi voleva comprare il Kiosk della toilette, voleva farci un Imbiss”. La toilette ha riaperto la scorsa estate, negli ultimi vent’anni è stata rotta, inutilizzata. La sua prima costruzione risale al 1902. Ora è stata restaurata, in inverno la tengono chiusa per evitare che i senzatetto ci dormano all’interno “o forse non ci dormono, ma ci fanno di tutto là dentro”. In estate, apre. “Nella piazza ci sono ancora molte persone che fanno salotto, dico così perché sono qui ogni giorno sulle panchine, la maggior parte di loro ha una casa, ma magari a casa non ci vogliono stare e si incontrano in piazza per bere la loro birra”. “Se devo dire com’era prima, direi che in confronto ad oggi era più facile, le persone erano più semplici”.
Ho appena messo piede in piazza. Scendo dalla bicicletta in corrispondenza di un segnale stradale: devo parcheggiare la bici. In un attimo mi raggiunge Jens e la leghiamo insieme. Stasera allo Zielona Gora, il caffè antifascista di Gruenbergerstrasse, c’è la Vöku, la VolxKüche , la cucina del popolo: mangerò qualcosa lì. La musica punk mi costringe ad alzare la voce, io e Jens cerchiamo di distaccarci dal suono e ci sediamo ad uno dei tavoli all’entrata. Jens vive a Berlino da sedici anni e da quindici in questo quartiere, prima frequentava la piazza molto più spesso di oggi. Anche lui nomina i nuovi locali alla moda, i negozi, i turisti. Mi descrive la piazza grigia di una volta, “i palazzi erano rovinati, poi hanno iniziato a riempirsi di impalcature, e questo è stato il primo segno che tutto stava cambiando” i riscaldamenti erano a carbone quasi ovunque, ci vivevano molti studenti, persone con salari bassi, mentre adesso la classe è medio-alta, sono stranieri, per lo più europei, con un lavoro ben pagato e una famiglia nascente. “Forse mi piaceva di più la gente di prima. C’è una differenza culturale e di mentalità, si viveva una realtà diversa. In piazza, al parco giochi, ora senti parlare di carriera o di chi si occupa di pulirgli la casa. C’è ancora un mix tra i vecchi e i nuovi abitanti, ma non sono molto in contatto con i nuovi, non si riesce facilmente, c’è quasi un muro tra noi. In passato era semplice sedere in piazza e fare una conversazione. Forse le nuove generazioni sono più individualiste, sociologicamente, l’ambiente è più accademico, orientato alla carriera, mentre prima si era più in contatto umanamente. Questa era Berlino Est una volta”.
C’era chi faceva parte delle cosiddette Sternburg-Brigade, un nome che deriva dalla birra più economica in commercio in Germania e che rappresenta una classe di persone squattrinate, spesso parte delle frange più ribelli della società. “Molti si erano spostati qui da Ovest dopo la caduta del Muro, ci sono sempre stati forti movimenti sottoculturali. Oggi la scena estremista è più piccola, credo ci sia stata una sorta di espulsione dal quartiere, quando gli affitti sono cresciuti”.
Intorno al 2000, Jens pagava per il suo monolocale, un appartamento al pian terreno con il riscaldamento a gas, 220 euro al mese. “Questa zona è stata un luogo di occupazioni, ma quando mi sono spostato qui, nel 2010, la maggior parte degli squats erano già stati chiusi. Eppure restano ancora oggi i prodotti di quella scena, almeno alcuni, come questo posto, per esempio. Una volta il palazzo era occupato, poi è stato legalizzato, organizzato in un progetto di cooperazione: alcune di quelle case sono state acquistate, ma non tutte. Io ho sempre preso parte alle manifestazioni: la Walpurgisnacht, il primo maggio, c’erano concerti punk, rock, molta critica di sinistra, una forte identificazione culturale e sub-culturale, anche frange estreme. Non so cosa potesse pensare chi non aveva confidenza con la cultura radicale, forse che eravamo matti. Si sfociava sempre nella violenza, c’erano degli arresti, credo che fosse anche l’espressione sociale di una zona povera, qui molte persone tiravano avanti con l’aiuto del Quartiersmanagement, uno strumento della politica di sviluppo urbano di Berlino, che monitora e supporta gli interessi dei residenti locali, e interviene in casi di difficoltà economica o di problemi etnici. Del passato mi manca la situazione generale, le persone che incontravo prima e non vivono più in questo quartiere, amici, conoscenti. Il mercato non è cambiato di molto, ma chi lo frequenta sì”.
Parliamo e beviamo una birra in bottiglia, sull’etichetta il nome “1312 Sabotage Pils”: credo venga prodotta proprio a Friedrichshain. Si apre la porta alle mie spalle ed entra Thomas, un amico di Jens. Prende la sua birra e si siede con noi. Vive a Rigaer Straße ed è a Berlino da venticinque anni, è arrivato poco dopo l’unificazione della città. Prima stava ad Ovest, poi si è spostato qui in zona. “L’Est era brutto, c’erano molti vuoti lasciati dai palazzi distrutti, il quartiere appariva squallido, gli edifici cadenti, non vedevi differenza di colori, era tutto grigio. La popolazione era in maggioranza povera, ma nello stesso tempo c’era una grande scena sub-culturale, molte iniziative e case occupate. Io faccio parte di quella scena”. Thomas con l’aiuto del Job Center, l’ufficio che si occupa del Welfare in Germania, a quanto pare qui non ha mai pagato l’affitto di casa. “C’erano molti Leerstand concessi dal Wohnungsbaugesellschaft”, terreni ed edifici inutilizzati o sfitti, di proprietà privata o pubblica, che questa Cooperativa Edilizia gestisce e di cui concede l’uso abitativo.
“Ho ricevuto un appartamento in usufrutto completamente gratuito, dovevo pagare solo le utenze, a patto che facessi dei miglioramenti all’interno, prima era una cosa comune, non servivano condizioni particolari, i proprietari e l’amministrazione che gestiva gli edifici aveva troppo da fare per ridare vita al quartiere, e questo era un modo per risistemare più in fretta le cose. Potevo traslocare ogni anno in un nuovo appartamento, con un nuovo contratto, ne ho sempre ricevuto uno e quando ne cercavo un altro, lo ottenevo senza problemi, l’ho fatto per cinque o sei volte: oggi è difficile, non ci sono più persone senza reddito. La popolazione era gente comune, sicuramente più modesta. Ora invece le persone sono benestanti, lo vedi dalle auto parcheggiate in giro”.
“Qui c’era una forte scena alternativa – continua Thomas – con una propria cultura ben definita, così quando l’Ovest e l’Est si sono riuniti, molti giovani si sono spostati a Friedrichshain ad occupare i tanti spazi liberi. Anche Prenzlauer Berg era piena di squats ed era al confine con Friedrichshain, c’era un grosso scambio tra le due parti. Allora non si facevano manifestazioni, le occupazioni erano più tollerate. Ad Ovest invece, questi movimenti venivano ostacolati dalla polizia, dall’amministrazione locale. Per questo quelli che arrivavano da West Berlin insegnavano molto alle persone dell’Est, per esempio come organizzare una dimostrazione, come occupare una casa, come gestire i rapporti con la polizia. Avevano più esperienza”.
Thomas ricorda che il giorno precedente al primo maggio si celebrava sempre la Walspürgisnacht in Boxi. Questa antica celebrazione pagana della primavera, praticata soprattutto dai popoli germanici, a Berlino veniva organizzata in Kollwitzplatz, mentre poi, negli anni, è stata spostata prima a Mauerpark e poi in Boxhagener Platz. Era il “warm-up” del primo maggio. Oggi la Walspürgisnacht è stata spostata ancora una volta e adesso viene celebrata a Wedding.
“La politica, in quel periodo, cinque o sei anni fa, cercava di strumentalizzare la scena autonoma. Iniziarono i controlli della polizia, in Rigaerstrasse per esempio e poi anche qui a Boxaghener Platz, tutte le persone che avevano l’aria di appartenere alla scena autonoma venivano controllate di continuo, ogni giorno, anche più volte al giorno. È successo anche a me, a volte mi hanno tenuto fermo per più di mezz’ora. Ti chiedevano i dati personali, fermavano le macchine per strada, addirittura, alle persone residenti, veniva proibito di tornare nelle proprie case: hanno creato il terrore per lungo tempo”.
Poi parliamo di Nachbarschaft, cioè a dire del vicinato. “Prima potevi contare sui tuoi vicini di casa, la gente era parte di una comunità, era unita e tutelata, ma con la trasformazione questa sensazione si è persa. Io non trovo più una collocazione qui, nel tempo libero ho sempre frequentato i locali della zona, preso parte alle attività, credo che fosse una cosa importante potersi incontrare in uno spazio, poter avere queste occasioni di scambio, ma non ho molti soldi da spendere e adesso molte cose non me le posso permettere”.
Lo Zielona Gora, il bar politico di Friedrichshain, resiste. “Questo è un collettivo. Al suo interno ci sono stati gruppi differenti e la situazione è cambiata a seconda delle persone. Il concetto è quello di un progetto socio-culturale, con la cucina popolare ogni domenica, gli incontri politici e sociali, un cineforum. Si tratta di uno spazio aperto, chi vuole viene e propone un progetto”.
Ho appena messo piede in piazza. Il sole inizia a scaldare il mercato delle pulci della domenica. L’euforia nei volti e nei gesti annuncia la primavera, la piazza è densa di gente e i corpi a passeggio si fondono con le bancarelle, la merce, gli odori, la musica. Sono in cerca di una caraffa da the già da tempo, ma non ne trovo una adeguata. Mi fermo ad uno stand che espone oggetti di arredamento. Il disordine e la varietà di cose e di stili induce ad una ricerca attenta. Ne vedo una che mi piace e cerco di richiamare l’attenzione del venditore. In mio aiuto arriva un uomo sulla settantina, che ha appena concluso il suo affare. Chiama il tizio e lo invita ad avvicinarsi a noi. Per avere quella caraffa, dovrei comprare tutto il servizio. Gli dico che ci penserò. Quell’uomo gentile si chiama Thomas (anche lui) e vive a Boxaghener Straße da 20 anni.
“Una volta prima c’erano le panetterie, le macellerie – mi dice con una forte cadenza berlinese – tutto quello di cui le persone hanno bisogno, mentre adesso ci sono negozi per bambini”, indicando lo Spätkauf che abbiamo accanto “qualcosa da bere la trovi sempre”.
Mi dice che negli ultimi anni sono arrivati “questi abitanti moderni, e allora quelli del posto non ci sono più, perché non possono pagare l’affitto. Prima il riscaldamento era gratuito, gli affitti bassi e gli appartamenti grandi. Oggi si vive in una sola stanza, dove c’è tutto dentro: il letto, la cucina, neanche ci riesci a entrare, è come in prigione. In giro qui ci sono un sacco di giovani, a tutte le ore del giorno e della notte, i locali sono sempre pieni sulla Simon-Dach Straße. Conosco una famiglia che vive qui all’angolo, sopra quella tenda rossa, in quattro stanze, un grosso appartamento. Ormai non ne può più, non può dormire, c’è sempre chiasso in strada, quando uno deve alzarsi e andare presto a lavorare, come fa? Devi avere buone finestre”.
Gli chiedo cosa gli manca del passato: “qui non torna più indietro – mi risponde – Il forno dove facevano il pane, per esempio, non c’è più. Il mio vicino di casa lavorava la pasta a mano e poi la cuoceva al forno. Io ho lavorato lì, cuocevo i Pfannkuchen per Natale, mille, duemila Pfannkuchen. Ora la Bäckerei non esiste più perché tutti fanno il pane. Ma mica lo producono con le loro mani: accendono il forno, prendono le forme di pane già fatte e le infilano dentro. Conosco solo uno o due forni che ancora fanno il pane davvero” cerca di spiegarmi come arrivare ad uno di questi, in Prenzlauer Berg: ci arriva il Tram M10.
“Prima incontravo sempre qualcuno di conosciuto per la strada, adesso invece devi avere buoni occhi per guardare bene, cercare, e vedere se per caso incontri qualcuno che conosci. Questa piazza ha significato molto per la gente – mi racconta ancora Thomas – Poi c’è stato un cambiamento totale e adesso i piccoli negozi non possono più sopravvivere, tutto è costoso. La domenica qui era pieno di gente, soprattutto in estate, adesso sono solo turisti, che hanno i soldi in borsa, ma non vogliono pagare. Io pago sempre, anche ora, cinque euro per questo posacenere in cristallo: per i miei sigari è perfetto”.
Thomas è cresciuto nella DDR fino a diciotto anni, ma non a Berlino, in un paesino del Brandeburg, poi, nel 1982 è riuscito a spostarsi ad Ovest. Mi dice che quel passato non lo rivorrebbe indietro. “Si, era bello, vedevi tanti bambini con i genitori, i nonni, ma non posso dire che era meglio di adesso, c’era una forte differenza tra Est e Ovest. Tu, per esempio, mi hai detto che vivi a Neukölln. Negli anni ’80, se volevi venire ad Est, arrivavi qui, pagavi venticinque marchi ed entravi, facevi quello che dovevi fare e tornavi indietro. Ma se io vivevo qui non potevo andare da nessuna parte, e se ci provavo, andavo in prigione”. La vita di tutti i giorni era “normale”, si lavorava e ci si svagava. “Arbeiten und Feierabend. Erano tempi più lenti. Si stava con la famiglia, dopo lavoro ci si incontrava nelle Kneipen ed era come stare a casa, chi era da solo andava lì e stava in compagnia. Ce n’erano molte in giro, di Deutsche Kneipen, ora non più. Ne sono rimaste solo due o tre”.
Ho appena messo piede in piazza. È giugno ormai, passo per l’ennesima volta al Feuermelder, una vecchia Kneipe sull’angolo sudest di Boxhagener Platz. Dentro una mescolanza di adesivi, teschi, bottiglie, alcuni demoni: prevale il colore rosso. Chiedo ancora una volta di incontrare i proprietari del posto, ma mi viene ripetuto che i padroni non vanno lì spesso, oppure passano e vanno via. Torno all’angolo tra la Krossner Straße e la Gabriel-Max-Straße, in cerca di più informazioni sul cocktail bar dov’ero stata per la prima volta sette mesi prima, e da cui tutto era cominciato. Ci trovo un posto, nuovo, chiamato NYOM. Il locale di Aydin è stato rimodernato, riempito di frange e tettucci in paglia, votato ad un minimalismo rigido: è diventato un ristorante vietnamita di tendenza. Rimango un po’ amareggiata.
Al mercato compro un nuovo lampadario per la cucina, credo che risalga agli anni ’60. Viene spontaneo contrattare un po’ e per dieci euro riesco ad aggiudicarmelo. Prima di lasciare Boxi penso ad un bell’espresso. Ricordo che sulla Gärtnerstraße c’è un bar che sa fare un buon caffè. Cammino sul marciapiedi, senza prestare attenzione, poi torno indietro e mi accorgo che il bar non c’è più. Al suo posto ce un locale nuovo, anzi forse ne hanno aperti due uno accanto all’altro. Resto interdetta.
Riprendo a camminare sotto una grossa impalcatura, un’altra struttura nuova, che prima non c’era. Il caffè lo berrò a casa.
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