C’era una volta un quartiere di frontiera, rebus irrisolto di complicata integrazione e problematiche sociali; questo sarebbe il perfetto e scontato inizio di un qualsiasi articolo su Wedding. Ed è già un buon motivo per non iniziare così questo articolo su Wedding.
Abito a Berlino dal 2012 e prima dello scorso anno avevo messo piede in questo distretto (che dal 2001 è entrato a far parte del quartiere di Mitte) solo un paio di volte, ospite a casa di conoscenti per delle feste. Una di queste due feste era nella casa che poi sarebbe diventata la mia, cosa che all’epoca non avrei mai immaginato. Il mio arrivo qui è stato totalmente in linea con le caratteristiche storiche di Wedding: nella metà del diciottesimo secolo in quest’area si rifugiavano le persone che volevano nascondersi da qualcosa o che avevano loschi affari da portare avanti; era un luogo amato da giocatori d’azzardo e puttanieri, per dirla proprio fuori dai denti.
Ora, io non so giocare a carte, ho una discreta sfortuna con le slot machines e, soprattutto, non intrattengo rapporti sessuali a pagamento. Quando sono arrivato avevo semplicemente bisogno di un luogo in cui rifugiarmi, dove sparire per un po’ mescolandomi tra altra gente che a Wedding aveva già trovato rifugio prima di me.
Il biglietto da visita che mi era stato presentato non era dei migliori: delinquenza, disagio umano, sporcizia e tutto quello che può comporre il pacchetto completo del quartiere che la nonna ti sconsiglierebbe di frequentare.
Dopo dodici mesi però devo ammettere la verità: mi sento più sicuro qua che in qualche altro quartiere di Berlino. Gli späti e i negozi di kebab sono sempre aperti, kneipe e baretti di ogni tipo tirano tardi fino ad orari improponibili e l’isolamento è l’ultima cosa che percepisco camminando nei dintorni di casa mia.
Forse ho la fortuna di passare solo quando i delinquenti hanno già smesso di delinquere? Oppure è come quella vecchia storiella dei terroristi sugli aerei: se porti una pistola a bordo si annulla statisticamente la possibilità che sul tuo volo ci sia un altro terrorista. Forse il delinquente a Wedding sono io, solo che non me ne sono ancora accorto.
E dire che qualche anno fa Wedding era sulla rampa di lancio, indicato come il quartiere più prossimo ad essere travolto dalla gentrificazione. A osservare bene mi sembra che in realtà stia opponendo resistenza. Anche questa, d’altra parte, è una sua caratteristica fino dagli anni ’20 del novecento, quando la classe operaia di fede comunista che lo abitava si scontrava contro i simpatizzanti del partito nazista; la rossa Wedding di un tempo, la Wedding anti gentrificazione di adesso.
Qualche crepa in questa fiera opposizione comincia però a vedersi: nella strada dove abito ha aperto da alcuni mesi un piccolo caffè-libreria per bambini; i suoi orari sono del tutto anarchici e sulla lavagna all’esterno campeggia la parola Biomilch scritta in gessetto bianco. Quando il latte bio arriva dove normalmente scorre solo birra, significa che porta con sé anche la prima gentrificazione.
Non che siano state fatte vere e proprie barricate per impedire la tendenza che sta cambiando Berlino, sarebbe impossibile, ma qui gli affitti restano comunque abbordabili, certi Café alternativo-fighetti come quello che ho appena descritto spuntano con parsimonia e le frequentazioni modaiole stanno ancora alla larga dalle rive del Panke, il piccolo corso d’acqua che costeggia il quartiere. C’è più gente che esce in pigiama e ciabatte, che pantaloni con risvoltini, insomma.
Bene così, anche perché Wedding non le manda a dire: ha una cattiva parola per tutti.
Vorrei poter raccontare brutte storie di violenza dai marciapiedi di Schülstraße, ma la verità è che mentirei. L’unica inquietudine che ho incontrato è quella visiva dei negozi di articoli afro in cui le extensions di capelli finti sono appese direttamente alle vetrine come macabri scalpi.
Dei circa 85mila abitanti del quartiere (dati 2016) ben il 48,3% non sono tedeschi di nascita e provengono da altre parti del mondo, prevalentemente Turchia (17,8%) e Africa Subsahariana (6,4%). Ognuno ha portato con sé il proprio piccolo spazio di mondo, forse per sentirsi meno lontano e meno solo.
Non mi disturbano le occhiate torve degli avventori del bar che ha come insegna l’aquila della bandiera albanese: se fossi in loro guarderei male tutti pure io. È il loro posto, se lo sono conquistato chissà quanto tempo fa e lo difendono. E a me sta bene.
Wedding è un quartiere rude in cui gli occhi si incrociano come quelli di Clint Eastwood e di Eli Wallach ne Il buono, il brutto e il cattivo: chi per primo abbassa lo sguardo perde la sfida. Chi vuole essere accolto con un sorriso si accomodi altrove, bitte.
Oltre ai modi un po’ ruvidi, a tenere lontana certa gente da Wedding contribuisce anche la “fama”: il centro del quartiere, Leopoldplatz, è da anni in vetta alle poco invidiabili classifiche della delinquenza berlinese, con il vanto di essere uno dei più vecchi luoghi pericolosi in città. Violento sì, ma con una tradizione. A Leopoldplatz si beve, ci si picchia, si spaccia e si assume droga.
Come in qualsiasi altra grande città del mondo, aggiungerei.
Solo che Berlino è mediamente abbastanza sicura e quindi si tende a preoccuparsi di più del cosiddetto degrado e a notare maggiormente l’indice di criminalità. A Leopoldplatz c’è anche il mercato in piazza del sabato, ci sono gli anziani che cantano canzoni del loro paese d’origine durante le sere d’estate, ci sono i bambini che giocano nei giardini alle spalle della Alte Nazarethkirche (progettata dall’architetto Schinkel, mica uno qualunque). Solo che è più difficile analizzare statistiche sulla normalità. E se anche venissero fatte non attirano dibattiti politici e sociali come furti e rapine. Dipende cosa si vuole vedere: anche un macellaio con la mannaia è un uomo col coltello dopotutto…
Non voglio addolcire la pillola: non è un quartiere per stomaci deboli, questo è indubbio. In compenso è adatto ai pigri: autobus, tram, metropolitane. Da qua si fugge facilmente ma ci si ritorna anche volentieri: Wedding è una mamma felliniana che con una mano ti da una carezza e che con l’altra ti assesta uno scapaccione tra capo e collo per farti capire che non scherza.
Leopoldplatz, tra un disagio e l’altro, è l’incrocio perfetto di due linee della metro, la U9 e la U6: perennemente in ritardo la prima, costantemente inefficiente la seconda. Con la U6 si raggiunge anche la parte più verde del quartiere, a nord di Leopoldplatz, dove si trova lo Schillerpark, uno dei parchi più grandi della città di Berlino, intitolato nel 1909 al poeta tedesco.
Quando ci si stanca degli alberi e dei prati si può attraversare la Müllerstraße e sbattere col naso in una densa coltre di colonialismo: alcune strade portano i nomi di stati africani dei tempi che furono, e non dimenticano di omaggiare anche i fautori più controversi delle politiche espansionistiche germaniche; come Adolf Lüderitz (chiamato “il truffatore di neri” per il profitto tratto dall’indebito possesso di alcuni territori nell’attuale Namibia) e Gustav Nachtigal, più umano di Lüderitz ma pur sempre fiero sostenitore del colonialismo come pratica e veloce soluzione allo schiavismo. Da anni sono aperte petizioni per la rimozione dei loro nomi dalla toponomastica e pare che il 2018, almeno per quanto riguarda Berlino, possa essere l’anno giusto.
Nel nostro giro, oggi abbiamo gambe forti, non siamo pigri e camminare non ci spaventa, anche se la giornata è grigia e il freddo taglia la faccia come un temperino arrugginito. A sud ovest di Leopoldplatz c’è un corpo estraneo che sembra essere stato chirurgicamente impiantato a Wedding: è lo Sprengelkiez, dove si respira quasi l’aria di Mitte e si intravedono in lontananza i vetri specchiati dell’Hauptbahnhof. Qui le case sono curate, le strade ordinate, la spazzatura ben riposta nei cestini e le aiuole non ospitano costantemente una svendita di vecchi mobili come nei dintorni. Lo Sprengelkiez è Prenzlauerberg che si prende una vacanza e viene a vivere a Wedding portando con sé le mamme coi passeggini e i bar un po’ di tendenza (non si sa quale), in cui ci si può sedere fuori quando c’è il sole. Inutile dire che l’abitante di Wedding, quello “duro e puro”, detesta questi incroci. Lui ha bisogno delle facciate scrostate dei palazzi, degli stradoni larghi e del fick dich facile.
Un esempio estremo dell’intransigenza degli abitanti è racchiuso in uno dei suoi cittadini più tristemente illustri: Erich Mielke. Cresciuto nella Wedding rossa di inizio secolo, iscritto al Partito Comunista tedesco nel 1921 e trasferito per motivi di studio a Mosca. E fin qua si tratta di una storia come tante. Il problema fu quello che venne dopo, quando rientrò in Germania alla fine della seconda Guerra Mondiale.
Per i non appassionati della storia contemporanea tedesca: Mielke è conosciuto per essere stato prima ideologo e poi ministro della sicurezza di stato delle Repubblica Democratica Tedesca. Tagliamo ancora più corto: era il capo della Stasi, l’organizzazione di spionaggio più atroce del secondo dopoguerra. E lo fu ininterrottamente dalla sua creazione, nel 1950, fin quasi alla chiusura nel 1989. Trentanove anni di controllo, terrore e paranoia. Quartiere difficile, gente difficile.
Allontaniamoci. Non siamo tipi da latte macchiato in vetro grande, non oggi almeno. Wedding ha ancora molto da mostrare e lo Sprengelkiez va attraversato velocemente.
La stazione del Ring-Bahn Wedding segna il confine a sud: da qui in poi o si rientra verso il centro città o si sale a bordo del treno per cominciare il girotondo di Berlino. C’è qualcosa per cui vale la pena avventurarsi per qualche centinaio di metri fuori da Wedding: nei pressi del piccolo fiume Panke ci sono le rovine del Wiesenburg, un antico centro di accoglienza per senzatetto inaugurato nel 1896. I suoi mattoni rossi hanno visto passare le vite di centinaia di persone fino a quando non fu riconvertito in area industriale durante la prima guerra mondiale. Nonostante il suo aspetto diroccato dovuto ai gravi danneggiamenti dei raid aerei degli anni ’40 il Wiesenburg è ancora in funzione e ospita atelier di artisti e piccole attività indipendenti. A pochi passi da qua ci sarebbe stata anche la Stadtbad Wedding, una piscina di inizio ‘900 chiusa e riaperta a ripetizione e poi diventata luogo di espressione artistica in vari campi; perché ballare sul fondo di una piscina svuotata dopotutto era tremendamente adatto all’atmosfera del quartiere. Ma ho usato il condizionale con cognizione di causa: la Stadtbad è stata demolita nel 2016. Con tanti saluti alla Wedding che resiste sempre perché contro le ruspe è dura per chiunque.
Qualcosa che invece si è salvato dalla demolizione c’è, ed è a pochi passi da qua: oltre la soprelevata del Ring si intravede una colonna di mattoni che svetta. La sua cima è annerita dal fumo perché la colonna in realtà è la ciminiera di un crematorio.
Dentro di essa sono passati gli ultimi soffi di migliaia di berlinesi, nella loro transizione definitiva tra la terra e il cielo grigio cenere. Il vecchio crematorio di Wedding ha compiuto la sua funzione fino al recente 2001 quando è stato pensionato per motivi d’igiene pubblica: respirare i corpi dei propri concittadini era troppo anche per un quartiere come questo.
La struttura è rimasta in piedi, in attesa del suo destino. All’improvviso, nel 2013, la soluzione inaspettata: non un mausoleo cristallizzato nei tempi che furono ma una galleria d’arte sperimentale dove chi espone si confronta forzatamente con la precedente funzione dell’edificio. Ars tua, vita mea.
La strada da qua alla U-Bahn di Nauener Platz è breve, continuiamo a piedi anche se la sera sta arrivando e le ombre si allungano. Le Eck-Kneipen si popolano di persone, i pensieri si perdono nella schiuma densa delle loro birre: fissano i bicchieri cercando delle risposte che a breve saranno troppo ubriachi per ascoltare. Intorno a loro altra gente a cui la vita sorride gioca a freccette, ride e parla di calcio. I kebabbari affilano i coltelli sul bancone, sanno che tra poco sarà il loro momento: gli affamati stanno per tornare del lavoro e sono troppo stanchi per cucinare qualcosa. A Wedding c’è l’imbarazzo della scelta e del gusto, i döner laden sono più fitti delle antenne paraboliche alle finestre.
Nauener Platz non ha proprio niente di Platz: è un enorme incrocio tra la Reinickendorfer Straße e la Schulstraße e dimostra quanto la toponomastica sia inefficace quando tenta di abbellire dei brutti posti. Qui chi arriva da Mitte si scontra con chi proviene da Gesundbrunnen; e non è solo un gioco di parole visti i frequenti incidenti stradali. Non è la Wedding che ci interessa, dobbiamo spostarci di una fermata di metro verso Osloer Straße, altro snodo della zona.
I tram M13 e 50 formano un’altra spina dorsale del quartiere che riporta verso il suo centro: corrono sulla Seestraße sferragliando e suonando la campanella di avvertimento. Qui tutti amano attraversare i binari dove non si potrebbe, rischiando di essere falciati… chissà se esiste un’associazione di “reduci di Wedding” dove sopravvissuti, mutilati ed ex abitanti si raccontano avventure e incidenti dei tempi che furono.
Meglio passare sotto la piazza, attraversando l’androne della stazione U-Bahn. Nell’ora di punta è il caos: le persone corrono ovunque cercando di non mancare la connessione tra le metro. L’odore unto del miglior chiosco di börek dei dintorni invade ogni angolo. In mezzo al salone alcuni indecisi si bloccano cercando di intuire la loro direzione. Dov’è la fermata degli autobus? In quale direzione bisogna andare? Qual è l’uscita migliore per avvicinarsi al Kaufland? Da dove parte il bus 128 per l’aeroporto di Tegel?
Ecco l’ultima tappa del nostro viaggio a Wedding: Tegel. Il bus 128 costeggia i confini del quartiere da est a nord, passa per la Residenzstraße e poi per la Holländerstraße in mezzo a zone residenziali più umane. La sensazione di brutalità urbana diminuisce con l’accendersi delle luci nelle case. È buio, tra poco si cena e ci si riposa tutti. Tutti tranne Wedding che non si ferma mai. Ma qui il grigio del suo cemento pare un po’ più lontano.
Scendiamo a Kurt-Schumacher Platz, manca ancora qualche fermata ai terminal dell’aereoporto ma a noi interessano gli aerei. Facciamo a piedi i pochi metri che dalla piazza portano all’imbocco di Meteorstraße, una stradina semi sterrata che costeggia piccole villette, autorimesse e sfasciacarrozze. Dall’altro lato le macchine corrono rapide sull’A111. Dal buio appaiono degli alti tralicci addobbati con luci intermittenti rosse e bianche: sono i segnali del sentiero di atterraggio della pista principale di Tegel. Pochi secondi e la pancia di un aereo passa bassissima su di noi lacerando l’aria. Dopo pochi minuti un altro aereo, e poi un altro ancora. Chi arriva o torna a Berlino via Tegel viene accolto da Wedding: i primi tetti, le prime case distintamente visibili dai finestrini sono quelle del mio quartiere. Un biglietto da visita di carta vetrata.
“Tra pochi minuti atterreremo nella capitale tedesca. Vi preghiamo di allacciare le cinture, chiudere i tavolini e raddrizzare i sedili. La temperatura a terra è di zero gradi, il cielo è grigio cemento, il vento è gelido. Vi ringraziamo di aver volato con noi. La Berlino selvatica e scortese è lieta di darvi il suo caloroso benvenuto.”
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Wale Café
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