Qual è il primo Paese che vi viene in mente quando si parla di cinema? La maggior parte penserà all’America, i più raffinati al cinema francese, alcuni addirittura, al cinema orientale o indiano. Ho amici, temerari, che affermano che il cinema polacco sia il migliore in assoluto; in generale, però, quasi nessuno nomina mai la cinematografia di un territorio a noi geograficamente vicino, il cinema arabo. Documentandosi si scopre che può essere suddiviso in tre diversi filoni, ciascuno specchio di un diverso periodo storico. Abbiamo la fase sotto il colonialismo occidentale, che vide l’Egitto come centro fondamentale per il cinema arabo degli inizi e tutt’ora predominante per il flusso di film che ogni anno vi vengono prodotti. È con la fine del periodo coloniale, però, che si inizia a parlare di cinema arabo vero e proprio in quasi tutto il territorio arabo. Gli esperti sostengono che in questo lasso si assiste ad una netta propensione al ribasso in termini qualitativi delle opere cinematografiche. Leitmotiv resta l’impossibilità di trattare tematiche non favorevoli al regime; anzi, con l’avvento dei sistemi autarchici si assistette ad una nazionalizzazione anche dell’industria cinematografica. Appartiene a questa fase la netta distinzione tra cinema arabo d’élite, che trattava tematiche sociali di una certa rilevanza e si rivolgeva ad esperti e pochi addetti ai lavori, e cinema di massa, che portava avanti quel filone cinematografico imperante nel mondo arabo dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fatto di storie semplici e amori romantici.
L’apertura verso il mondo occidentale data dalle nuove telecomunicazioni ha finito per influenzare anche il mondo del cinema. Se si parla di cinema arabo contemporaneo non possiamo non citare registi del calibro di Abbas Kiarostami, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 1997 o del vincitore dell’Orso d’Argento alla Berlinale Yusuf Shahin o ancora di Ahmed El Maanouni o Rachid Bouchareb, solo per fare alcuni nomi.
Storicamente parlando in Algeria il cinema si afferma come strumento di lotta contro il colonialismo francese, e forse è anche per questo che il Paese continua ad essere la patria di alcuni tra i maggiori registi arabi, come Lakhdar Hamina e Merzak Allouache.
Ad offrire uno sguardo sul netto divario tra ciò che è stato storicamente il cinema arabo e ciò che rappresenta oggi, soprattutto per la diversità delle tematiche trattate, arriva questa settimana a Berlino l’ ALFILM – Arabisches Filmfestival Berlin. Giunto ormai alla sua ottava edizione, il festival, che avrà luogo nella settimana dal 31 marzo al 7 aprile nei cinema Arsenal, Eiszeit, fsk e City Kino, ospita film di diverso genere che presentino almeno una delle seguenti caratteristiche: essere stati diretti da un regista arabo, essere stati girati in un Paese arabo o avere ad oggetto una tematica inerente al mondo arabo. Con 16 lungometraggi e 3 cortometraggi, il festival concede allo spettatore di ottenere un’ampia panoramica sul mondo arabo sotto molteplici angolazioni.
Quest’anno il festival ospita, inoltre, una retrospettiva dedicata a Shadi Abdel Salam, eclettico e visionario regista alessandrino morto nel 1986. Da non perdere “The Mummy”, forse la sua opera più celebre, del 1969, domenica 2 aprile alle 21.00 al City Kino e venerdì 7 aprile alle ore 20.00 all’Eiszeit.
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