Matt Elliott - Dust Flesh and Bones main track
Mi guardo allo specchio mentre sistemo il colletto della camicia. Odio le camicie. Le metto solo in occasioni veramente importanti: matrimoni o funerali.
Osservo il riflesso della camera, in disordine come sempre. Troppo piccola, penso. Questa casa mi sta stretta. Ci penso ogni giorno, ormai da settimane.
Mi sono trasferito qui a settembre, quasi un anno prima di partire per Berlino, portando con me solamente vestiti, libri e fumetti. Undici anni vissuti a Milano in un paio di colli e un solo viaggio in macchina.
Mi volto verso Barbara – la mia compagna – stranamente già pronta. Come sto? le chiedo.
Lei mi guarda con attenzione. Fa una smorfia: un sopracciglio alzato e un’espressione a metà tra il ribrezzo e la rassegnazione. Sei tutto “sbisazzato”.
Mi chiedo se la parola sbisazzato sia una sua invenzione o un misto di dialetto siciliano e fiorentino mentre mi sistema colletto, maniche e polsini, in un rito al quale mi sono ormai abituato negli ultimi anni. Per come mi concio ai suoi occhi sono, e sarò sempre, uno scappato di casa.
Ho conosciuto Barbara cinque anni fa, forse sei. Non ricordo. Non abbiamo giorni o date o anniversari da ricordare o festeggiare. Al nostro primo appuntamento abbiamo fatto un giro alla libreria Hoepli. Perdersi per ore nelle corsie delle librerie del centro è da sempre uno dei miei passatempi preferiti. Lì abbiamo scoperto di avere questa cosa in comune, la prima di una lunga serie. Dopo qualche ora passata a sfogliare riviste di moda, design e illustrazione le ho chiesto di andare a dare un’occhiata nel reparto dei libri per bambini. Il suo volto si è illuminato. Credo di averla conquistata veramente solo in quel momento, grazie a quella domanda.
Al nostro secondo appuntamento le ho proposto di andare al cinema. Volevo vedere Le Idi di Marzo, scritto e diretto George Clooney. Alla sua domanda Perché vuoi vederlo? credo di aver risposto: perché costa poco, e poi ho aggiunto: e perché c’è George Clooney. Il suoi occhi perplessi mi hanno guardato con sospetto.
Una volta arrivati alla biglietteria, Le Idi di Marzo non era tra i film in programmazione. Credo di aver fissato incredulo i monitor sopra la cassa per qualche minuto. Poi ho capito. Ricordo di essere sprofondato nella vergogna. Sentivo il volto bruciare per l’imbarazzo mentre mi giravo verso Barbara per dirle, ad occhi bassi: Ho sbagliato cinema. Avevo scambiato il Cinema Anteo con il Cinema Apollo. Lei ha riso. E ancora oggi quando ce ne ricordiamo ride, e ne ride di gusto. Io, tuttora, a ripensarci mi sento un po’ un coglione. Abbiamo comunque guardato un film quella sera, ma non ricordo quale. Ciò che ricordo bene è l’odore della sua crema all’avena che mi ha distratto per tutta la durata della pellicola.
Sembra che tu stia andando a un funerale mi dice Barbara dopo aver finito quel rito infinito del sistemare qualunque cosa io abbia addosso. La guardo, serio. È come se lo fosse sussurro. Il tragitto verso il cinema è strano. Osservo Viale Argonne, ormai spoglio dei suoi alberi. Al loro posto un cantiere che si allunga sotto terra come un drago, o un verme gigante. Mi chiedo quante altre cose cambieranno in questa città. Vivo a Berlino da poco più di sei mesi, eppure mi sembra sia passata una vita. Non avrei mai pensato che Milano potesse mancarmi. Ma a Barbara non voglio dirlo. Conosco già quale sarebbe la sua risposta. E allora torna no?
Una volta arrivati all’Apollo la coda è infinita. Ci sono persone che mi sembra di aver già visto in più di una delle tante volte in cui sono venuto qui negli ultimi anni. Sembra davvero un funerale, penso mentre guardo le persone in fila, in rigoroso silenzio, con i volti scuri.
Non pensavo di trovare così tanta gente per quest’ultimo saluto.
La prima volta che sono andato al cinema da solo è stato proprio all’Apollo. Pronunciare alla cassa le parole Un biglietto per… è stato come uno shock per me. Mi sono sentito uno stronzo perché solo, in mezzo a coppie e gruppi di amici in coda alle casse. Poi entrando in sala mi sono sentito ancora più stronzo. Un alieno con gli occhi di tutti puntati addosso mentre i miei, di occhi, erano puntati a terra. Il volto rosso e paonazzo dall’imbarazzo. Un’esperienza terribile che è durata finché le luci non si sono spente e il film non è iniziato. A fine film, a luci accese, mi sono accorto di non essere l’unico a non essere in compagnia. La cosa mi ha dato il coraggio di tornare tutte le altre volte a seguire.
Alla cassa chiedo due biglietti. Grazie dico alla cassiera mentre li prendo. Grazie di tutto. Lei mi guarda e mi sorride. Un sorriso di amarezza o malinconia, non saprei dirlo. Mi manca il coraggio per chiedere o aggiungere altro. Vorrei dirle che mi dispiace perdere uno dei pochi luoghi di riferimento che sono riuscito a trovare in questa città. Vorrei dirle che per me l’Apollo è stato come un rifugio, un luogo dove poter mettere da parte la tristezza, perché un film può servire anche a scacciare i cattivi pensieri, e non solo a intrattenere. Vorrei dirle che oggi perdo un luogo dell’anima, e so già che faticherò a trovarne un altro. Eppure non parlo. Faccio un ultimo cenno di saluto con la testa, prendo Barbara per mano, e ci avviamo verso la sala. Scendiamo le scale e arriviamo al bar, affollatissimo. C’è un silenzio surreale. Barbara indica un uomo vestito di nero. Guarda, c’è anche un prete mi dice. Adesso sì che sembra davvero di essere a un funerale. La guardo e cerco di trattenere una risata, per non disturbare questo rito da estrema unzione. Andiamo le dico. Vorrei vedere i trailer. Almeno per l’ultima volta.
Passo una mano sulle pareti per tutto il tragitto che va dal bar alla sala, sentendo ogni centimetro di quelle mura sotto i miei polpastrelli, voglio memorizzarle. Prendiamo posto. Mi guardo intorno. La sala è piena, ed è bella come non lo è mai stata prima.
Quando le luci della sala Urania si spengono i miei occhi si aprono.
Il 15 Gennaio 2017 è stato l’ultimo giorno di proiezioni del cinema Apollo di Milano, al suo posto sorgerà un Apple Store.
REDAZIONE
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